Di haddock e dintorni sapete ormai tutto, grazie alla prima puntata. Si dà il caso però che la sottoscritta di eglefino ne avesse acquistato parecchio al Fish Shop (sì, si chiama proprio così, tanto per non sbagliare). E che da un po’ stesse rimuginando sul latte di cocco e la possibilità di prendere l’ingrediente british e dargli una piccola rivisitazione, diciamo esotica.
Dopotutto Londra è una di quelle metropoli dove viene semplice fare qualcosa come cento passi e sentire gli odori di almeno dieci cucine diverse. E’ di sicuro una delle ragioni per le quali non mi stancherei di viverci (credo che sia pure uno dei motivi per cui qui mangerei a tutte le ore se il mio stomaco, poveretto, me lo permettesse). Nella mia lista ho già sbarrato la cucina malesiana, quella libanese (fantastique!), la giapponese (bè qui niente di nuovo), l’indiana con accenti europei (consumata da Zayka in Kensington Gardens in una delle due serate di libera uscita senza pupi), bè of course british autentica. Le ho provate tutte? Naturalmente no, ma ho buone possibilità viste le tre settimane ancora a disposizione.

Niente di meglio in questa città che sa ogni volta di posti lontani, che prendere dell’haddock e unirlo al latte di cocco. Qui è facile, basta guardarsi in giro, e ammirare la capacità di far convivere la tradizione con l’avanguardia più spinta. Non solo in cucina, ma anche dal punto di vista architettonico. Ad esempio: se camminate da St. Paul Cathedral verso il Tamigi, la Tate Modern con il suo Millenium Bridge si contrappone felicemente al Tower Bridge e alla Tower of London poco più in là. Diciamo circa un millennio di storia che si rispecchia negli edifici senza troppi problemi (nel senso di brutture architettoniche fatte). 

Se decidete di andare alla tate arrivate dal ponte, è spettacolare e munitevi di molto pazienza se, pur benedetti di nanna della pupa, avete con voi un Mr B. poco amante dell’arte contemporanea. 

Certo anche qui si è parlato in passato di speculazione edilizia (vedi la rapida crescita di grattacieli), nel complesso però finora l’impressione non è stata negativa come in altri posti.

E ci sono anche esempi di nuova architettura al servizio dei più piccoli (vedi il Childhood Museum a Benthal Green), dove in queste settimane ti può capitare, alla mostra Sit Down, di trovarci pure il vasino “ottocento inglese” o il primo esempio di chaise longue per la prima infanzia (altro che Le Corbusier).

Per tornare alla ricetta, considerata l’impossibilità di produrre una vellutata (vedi cucina sfornita di Mr James) ho deciso che era tempo di zuppa. Verdure tagliate piccole, piccole, unite a tocchetti di pesce e latte di cocco, a rendere il tutto più cremoso, vagamente dolce e profumato di luoghi poco inglesi ( devo dire che la ricetta mi ricordava una sorta di zuppa thai). E per finire del lemongrass che qui poco ci manca infili anche nel latte di pupi al mattino:-).

Tenete conto che per via della presenza del latte di cocco la ricetta è da sottoporre a formato di 24 mesi, ma se proprio volete cimentarvi basta rinunciare al tocco esotico, limitarsi a qualche cucchiaiata di latte o brodo vegetale e anche un bebè di 12 mesi non avrà alcun problema. Inutile dire che la zuppa con aggiunta di pepe e sale è ottima anche per mamma&papà.
piesse: se vi riesce impiattate in scodella un po’ meno british style della mia (cominciate a riconoscere il servizio di Mr James e il bordo della finestra dove ormai mi sono ridotta a fotografare?). 

 

Ingredienti

1 filetto di eglefino (o merluzzo all’occorrenza)
2 patate

1 porro
½ scalogno
½ tazza di latte di cocco

lemongrass
olio EVO

 

Pulite le verdure e tagliate a pezzetti. In una pentola mettete la cipolla con l’olio, unite le verdure, il lemongrass e girate. Bagnate con acqua o brodo e lasciate cuocere per una decina di minuti. Aggiungete il pesce e il latte di cocco. Cuocete fino a quando le verdure saranno morbide. La zuppa dovrà essere bella densa. Servite.