Esistono pochi luoghi al mondo che mi danno la sensazione di ritorno. Dove sono nata e dove vivo, perché ci sono le mie radici. L’isola perché un po’ mi assomiglia. E poi l’Africa, nel senso di continente, perché fin dalla prima volta mi ha offerto la possibilità di scoprire qualcosa che non conoscevo ma che mi appartiene. Mi è capitato di viaggiare e ammirare altri paesi, di sentirmi affascinata, di pensare anche di poterci vivere per un breve periodo ma mai ci ho associato la parola ritorno. Come se avessi dimenticato un pezzo con cui confrontarmi e solo nel tornare fosse tutto di nuovo chiaro.

Pensavo di poter condensare il viaggio in Sudafrica in un unico post, beh impossibile. E così questo è solo il primo capitolo, al quale seguiranno altre due puntate.

Rispetto all’Africa che ho conosciuto in passato il Sudafrica si è rivelato diverso, almeno per quanto abbiamo visto. Come se fosse un po’ africano, un po’ europeo: una sfumatura che in taluni casi si accende, in altri si attenua. Credo comunque dipenda dalla regione del Western Cape e Garden Route (la principale che abbiamo attraversato oltre all’Estern Cape e all’area naturalistica vicino a Johannesburg), mentre cambi addentrandosi all’interno, dove sono più numerose le comunità Xhosa, San o Zulu.

Probabilmente ho avvertito una differenza inizialmente forte perché l’ultimo mio viaggio sul continente era stato di lavoro,  in regioni kenyote molte povere e poco urbanizzate (se si esclude un passaggio a Nairobi).

Il vantaggio di questa sfumatura sta nel poter viaggiare con molta tranquillità, muovendoti liberamente con una pupa di tre anni:-).

E’ un paese dalle forti emozioni: i paesaggi dai colori forti, avvolti dal "misty" (la bruma che ti ritrovi perenne su Cape Town ma anche alle 5 di mattina nel bush), le strade da percorrere per centinaia di chilometri incrociando un paio di auto, l’oceano che non ha mai pace, fatto giusto per gli squali e i surfisti, e gli animali, non solo quelli dei grandi parchi. 

E’ un paese che cammina, lo avverti dalla gente, dai cambiamenti ancora in corso dopo la fine dell’Aparthaid oltre 15 anni fa, da quello che è già stato fatto e da molto che c’è ancora da fare. 

 

Sudafrica I. La Città Madre.

Cape Town è una città dove non c’è molto da visitare nel senso classico del termine, si tratta soprattutto di viverla, sospesi fra mare e montagna: le spiagge, i paesaggi, i profumi, i giardini e la gente. 

Per i sudafricani è la "Città Madre", un po’ in qualche modo il sunto di una nazione dove convivono etnie, mondi, luoghi tanti diversi, non sempre del tutto integrati, ma ormai quasi pacificati, dopo anni di lotta. 

La salita alla Table Mountain che si staglia sullo sfondo, perennemente avvolta da una tovaglia, una passeggiata al Waterfront, il porto costruito dagli inglesi, diventato oggi affollato di ristoranti, negozi e turisti, l’aperitivo a Signal Hill per ammirare la città ai propri piedi. O spingendosi in centro, si supera il Castello di Buona Speranza per un picnic ai Company’s Gardens, dove trovi facce di ogni tipo e innumerevoli scoiattoli da parco inglese, in un’atmosfera di festa che solo due decenni fa qui sarebbe stata impossibile.

 

 

 

Al Waterfront il bello è sedersi a uno di quei ristorantini appollaiati sui ballatoi e osservare il movimento attorno.

 Noi ci siamo fermati giusto un paio di ore ritornando da Robben Island, l’isola che è stata per molto tempo prigione e dove Nelson Mandela ha trascorso 27 anni. Quando lo leggi sui libri e te lo raccontano pare già un fatto sorprendente, andarci e sentirselo narrare da un ex-detenuto lo è ancora di più.

Passi da una cella all’altra, leggi le parole di chi è passato di lì, alcuni sono ancora vivi altri no, osservi il cielo così blu dal campo centrale dove i prigionieri spaccavano pietre e segui tutti quei gabbiani che si alzano e si abbassano al porticciolo. 

La nazione "arcobaleno" oggi è un altro mondo, e qui, in quest’isola separata da pochi chilometri di mare si è sviluppata una rivoluzione quando ogni cosa pareva immobile.

Nonostante il posto sia visitato da frotte di turisti, basta allontanarsi lentamente dalla fiumana, lasciare un po’ indietro il gruppo per avvertire la sorpresa del luogo.

Pare incredibile che ci siano state persone, come Mandela, in grado di mantenere per anni inalterati lucidità mentale e ideali tanto da riportarli nella vita quotidiana da uomini ormai liberi senza alcun odio.

E’ una delle forze di questo paese che cammina e che in certi momenti ha addirittura corso. Un aspetto che mi ha piacevolmente sbigottito, quasi che da noi non si fosse più abituati a correre, e nemmeno a procedere a passo d’uomo. 

 

 

Spingendosi alla periferia della città, lontano dai quartieri eleganti di Campsbay, Waterfront e Seapoint, i sobborghi cedono fino a diventare vere e proprie township, dove le case sono messe insieme con lastre di lamiera colorate. La povertà, ci hanno detto qui,  è pressoché la stessa di anni fa, sono migliorati e aumentati i sobborghi, abitati da una classe media che sta crescendo (e colorando).

Per i turisti esistono anche percorsi accompagnati nelle township, probabilmente si può rivelare una occasione per conoscere e capire un piccolo pezzo. Essendo stata in altre condizioni in Africa, essendo entrata come ospite nella casa di gente poverissima, mi è parso impossibile scegliere qui un "tour" di questo tipo. E abbiamo solo visto da fuori.

 

Verso il Capo.

Città del Capo non sarebbe la stessa se a breve distanza non ci fosse la penisola più a sud dell’emisfero. Il Capo è uno di quei luoghi che solo a fermarti per qualche ora ti danno emozioni forti, estreme, è banale a dirsi ma è impossibile respirare lì e non sentirsi carichi di energia.

La strada per arrivare scorre lungo piccoli paesi adagiati sul mare, con spiagge che dal finestrino paiono sempre le stesse per via di quelle onde alte che schiumano nell’aria. In alcune si intravedono fin da lontano casette di legno multicolor, pensate come grosse cabine.

Io me ne sono innamorata e nel tardo pomeriggio ho preteso di ripassare dalla cittadina di Muizenberg solo per fare una ventina di foto al soggetto…

Abbiamo fatto tappa a Boulder’s beach, famosa per la colonia di pinguini. Beh, per Alice è stato uno spettacolo, bagno coi pinguini compreso:-).

 

Ho ammirato il loro stare: becco semiaperto, zampe ben piantate nella sabbia, per lo più vicini vicini, quasi non facendo resistenza al vento e a molto altro,  parte integrante di tutto questo paesaggio.

Inutile dire che appena si muovono e si avvicinano all’acqua sono "adorabilmente" buffi.

Al Capo, vero e proprio, si entra in una riserva protetta, si possono fare tragitti a piedi, avventurarsi verso spiagge deserte o salire fino al faro.

Per i più pigri c’è pure una funicolare che ti porta su, comunque la salita non è impegnativa, considerate che la pupa ha compiuto l’intero tragitto sulle sue gambe (esclusa l’ultima gradinata in spalla a Mr B.).

E poi là in alto capitano gli incontri più inaspettati.  

Un cartello, appena entrati nella riserva, ti mette in guardia dai babbuini e confesso che, leggendo la guida e sentendo il racconti di amici che ci erano stati, mi aspettavo di essere assalita appena scesa dall’auto:-).

In realtà di babbuini ne abbiamo intravisti giusto un paio per strada, mentre su al faro, c’era una marmotta, sola soletta, a godersi il panorama da uno sperone. E questa attitudine delle marmotte di stare a contemplare il mare deve essere un’abitudine perché dopo quella del Capo ne abbiamo incontrate varie in Sudafrica, tutte sempre su una roccia mare sullo sfondo:-).

Non l’avrei mai detto delle marmotte.

Infine il punto del Capo di Buona Speranza, che dire? Il vento soffiava parecchio!

 

Lungo la Garden Route.

Da Città del Capo ci siamo fermati nella regione dei vini, uhm questo però fa parte di uno dei capitoli successivi, dedicati a mercati, cibo e dintorni.
Dalla Garden Route mi aspettavo qualcosa di più, forse dipende dalla stagione, forse dipende dal resto che abbiamo visto. Dai racconti mi ero immaginata una strada spettacolare che corre a ridosso del mare, in realtà solo per brevi tratti è così, per il resto è una via interna. 

Chilometri e chilometri da percorrere spesso con una o due altre macchine all’orizzonte (beh questo è il bello:-)).

NNoi abbiamo fatto tappa a Knysna ad ammirare la laguna e mangiare ostriche (io e Mr B.): è la specialità del posto, da assaggiare in un locale molto alla buona e dall’atmosfera rilassata chiamato Oyster Bar.

E poi per la gioia di Alice ci siamo fermati qualche giorno al mare, a Plettenberg: l’acqua era quasi inavvicinabile, tanto era fredda e movimentata, ma le spiagge lunghe chilometri sono perfette per camminare e come diciamo pupi&io "ciacchettare coi piedi". 

Ci sono diverse spiagge, una addirittura si estende fra l’acqua dell’Oceano Indiano e quella del fiume, lo Storms River, che sfocia. Come dire calma piatta e cuore in tempesta:-).

Lo spettacolo è soprattutto nell’oceano coi surfisti che cavalcano onde incredibili, incuranti sia del freddo sia degli squali (beh almeno dai cartelli parrebbe così:-)).

A Plettenberg ci siamo uniti a una escursione in mare per vedere i delfini e le foche. E’ emozionante assistere ai movimenti dei branchi di delfini che si abbassano, saltano e scompaiono in un mare con onde simili.

Anche le foche vivono in grosse colonie e pare, da quello che ci hanno raccontato, che abbiano la meglio persino sugli squali.

 

A Plettenberg vale anche un giro la Robberg Reserve, si possono prendere vari percorsi, alcuni da vera arrampicata.

C’è chi sceglie di arrivare per un picnic verso sera (i sudafricani amano mangiare all’aria aperta e sono veri fanatici del "brai" o barbeque).

Qualcuno apparecchia come fosse in un gran ristorante: fantastico! 

Noi abbiamo scelto una camminata semplice che ci ha portato ad una spiaggia "oceanica": mare in similtempesta, schiuma nell’aria e battigia lunghissima da specchiarsi dentro.

 

 

 

Da Plettenberg ci siamo rimessi in viaggio. Purtroppo avendo pochissimo tempo ci siamo fermati per poche ore alla Foresta Tsitsikamma, arrivando solo fino al famoso ponte sospeso. In realtà si tratta di un parco ricco di sentieri, flora e cascate che varrebbe una visita più estesa. Ma noi avevamo da correre verso l’Addo Elephant Park… to be continued…

 

 

Uhm, dimenticavo qualche link utile caso mai voleste cimentarvi in questa parte di viaggio. Tenete presente che la zona è ricca di guesthouse e bed&breakfast,  in taluni casi però non accolgono bambini (ebbene sì) quindi è sempre meglio controllare o chiedere (altrimenti finite come noi che arrivati in un ristorante ci hanno mandato via perché non accettavano bimbi). 

Comunque ci sono tante strutture childfriendly, e la stessa Cape Town ha tutta una serie di iniziative dedicate ai più piccoli.

 

Il sito ufficiale del Sudafrica

L’agenzia locale di viaggio a cui in piccola parte ci siamo appoggiati ( e che credo aver fatto impazzire!) 

A proposito di Cape Town e dintorni

Cape Town per bambini

Il miglior ristorante di carne di Cape Town (o almeno Alice&io la pensiamo così)

Robben Island (meglio comprare i biglietti del ferry in anticipo perché di solito è tutto esaurito)

Tutto sulla Garden Route

Un ristorante dai sapori sudafricani a Plettenberg 

La guesthouse sulla spiaggia dove abbiamo dormito a Plettenberg (ossia addormentarsi col rumore del mare)