lisbona 930

Ha un’essenza deliziosamente decadente che sa di mare, cielo azzurro vivo e luce che si tinge di oro rosato quando si fa sera. Ci sono i luoghi da non perdere, come già ricordava poco meno di cento anni fa il letterato nazionale più conosciuto, Fernando Pessoa, in “Lisboa, Quello che il turista deve vedere”. Quelli però vengono dopo. Lisbona è una città bellissima che si afferra immediatamente lasciandoti senza fiato (che sia il panorama da uno dei sette colli o la discesa impervia del mitico tram 28): è immediata, luminosa, nostalgica e avvolgente. Basta passeggiare e guardare. Oppure allungare la mano dal tram 28 (o il 22) e quasi sfiorare con le dita i palazzi illuminati dai colori e dalle trame degli azulejos.

Arriviamo nel mezzo della settimana, lasciandoci dietro l’autunno e sprofondando in un’inaspettata primavera.
Dormiamo in un vecchio edificio, l’androne buio, le camere all’ultimo piano dopo le scale infinite ampie perché un tempo lo spazio non era una questione di cui preoccuparsi, i balconcini stretti e malandati ma dalla vista meravigliosa.
Più in là, scopro a colazione, appollaiata su uno di quei terrazzini che avevo ammirato col naso all’insù, c’è il Tejo, il Tago. Perché a Lisbona si respira salsedine ma la città è mollemente adagiata su un fiume. Il mare è più in là, le acque si confondono, un rapido passaggio di acqua scura e più torbida a un blu di oceano.
Siamo a ridosso del Barrio Alto, un tempo la zona dei nobili oggi quella dei locali e della vita notturna. Basta però lasciarselo alle spalle per inoltrarsi nel Chiado, dove ci fermiamo a bere una bica de “carioca” (caffè leggero) al Brasilera: all’esterno una statua di Pessoa ricorda fra uno scatto e l’altro dei turisti che qui lo scrittore era un affezionato habitué.

Il Chiado prosegue elegante fra piazze e boulevard nella Baixa: da ammirare piazza Rossio e piazza Figuera. Si cammina lenti sulle salite che il tram macina fra curve impossibili ed edifici a sfioro. Mi piace quel rumore di fili e ferro, ritorna puntuale e racconta storie antiche. Adoro le giornate in cui la meta conta poco, e il viaggio tutto.


A Lisbona, in due, posso permettermi di essere disordinata, negligente e spensierata. E il quartiere di Alfama, dove alla sera si confondono le note degli spettacoli di fado, è perfetto per perdersi fra la conta degli azulejus, le facciate malandate, le finestre aperte al vento e i panni affidati alla giornata di sole.

E’ inevitabile sentirsi avvolti dalla “saudade”: a differenza di altri luoghi qui non occorre spiegare la malinconia, la nostalgia, è come dire c’è il sole o la luna. Indulgere nella nostalgia ha il suo pieno diritto proprio come si potrebbe fare con l’allegria o la gioia. E qui la malinconia non ha toni grigi ma è illuminata a giorno.
Attraversiamo Alfama molto lentamente, dopo una sosta alla Cattedrale della città, mentre fotografo e fotografo, fino ad arrivare al Castello di S. Jorge dai cui bastoni dall’impronta islamica si ammira uno dei panorami più belli della città.

Sorge su una collina, come alcuni dei mirador che punteggiano Lisbona, ai quali si arriva dopo la fatica delle salite o semplicemente innalzandosi con un elevador (quello di Santa Justa sorge nel bel mezzo della città, a ridosso di due palazzi, una fila interminabile di persone come immancabile appendice per buona parte della giornata). 

Ecco, a Lisbona potete scegliere un panorama diverso ogni sera per il vostro tramonto, lasciando che lo sguardo spazi sempre più in là. La sera noi saliamo per un aperitivo a Santa Caterina, è un po’ meno affollato rispetto ad altri posti: ci torneremo per un pranzo al ristorante Pharmacia e una visita all’omonimo museo (Lui era interessato al tema:-)).
La sensazione di essere meravigliosamente e pericolosamente sospesi verso l’infinito è forte anche a Belem, una zona discosta dal centro, la punta da dove partivamo i grandi esploratori del passato, fra tutti Vasco da Gama.
Ci si può arrivare anche con un tour in barca: dà la possibilità di ammirare Lisbona dal mare, che si “erge come un’affascinate visione da sogno” (Pessoa, in Lisboa).
La Torre di Belèm più che un avamposto fortificato di avvistamento militare, un tempo punto di ingresso per i marinai e i galeoni, pare un luogo magicamente proteso verso il mare, come la prua di una nave: l’effetto è molto reale, tanto più se si pensa che fino al terremoto di oltre tre secoli fa, la torre era separata dalla terra ferma, ma stava proprio nel mezzo del fiume. L’esterno, caratterizzato dalle preziose cupole moresche e le logge veneziane, è sospeso fra il cielo e il quasi mare sottostante.
Se la Torre di Belèm era il saluto di partenza e arrivo per i marinai, il Monastero di S. Geronimo era il luogo dove imbrigliare le paure e vestirsi di coraggio prima di affrontare l’infinito. Fu costruito proprio per onorare i grandi esploratori e la scoperta della via delle Indie,  sopra tutti Vasco da Gama e Luis de Camoes (ricordato ancor di più per i suoi versi e sonetti che lo fanno il Dante o lo Shakespeare portoghese).
Ci si aggira in silenziosa meraviglia fra le decorazioni del chiostro, dove un tempo si raccoglievano in preghiera prima della partenza per le Indie i navigatori sognatori: la Terra, ciò che ancora non si conosceva sulle mappe costituiva quello che per noi oggi è l’universo.
A Belèm abbiamo scoperto una piccola enoteca (Enoteca de Belèm) dove ho mangiato una delle migliori uova pochè su farinata e polpo croccante degli ultimi anni. Anche qui ovviamente abbiamo assaggiato il bacalhau, credo l’ingrediente con maggiori variazioni nella cucina della città (in centro c’è persino la Casa de Bacalhau dove si mangiano solo polpette di… baccalà).
Lisboa è una città dove la cucina è un piacere in cui indulgere senza troppi pensieri, dove degustare calici di vinho verde, bagnarsi le labbra di ginjinha(il tipico liquore portoghese) o comprare scatolette di pesce in conserva (dallo sgombro al solito bacalhau) impacchettate come fossero souvenir.
E subito dopo, ho obbligato il mio recalcitrante accompagnatore alla sosta alla più famosa pasticceria del Portogallo per assaggiare la famosa Pastel de Nata, creata quasi due secoli fa proprio qui. Ecco, sì, all’esterno c’è una coda continua per l’asporto, però se ci si spinge all’interno, dopo una attesa di pochi minuti ci si può accomodare a un tavolo e assaggiare una Pastel (oltre a chiedere al cameriere di farsi preparare un comodo take away). Che dire? Deliziose, la pastella si sbriciola sotto i denti mentre il ripieno dolce e cremoso viene spolverato da un accenno di cannella.
 Ho adorato attraversare e ammirare Lisbona a piedi (lasciate i tacchi a casa perché qui veramente è impossibile che li possiate utilizzare:-)), però il giro sul Tram 28 è stata un’esperienza da ricordare. A dire il vero lo abbiamo preso solo un paio di volte: di giorno è sempre affollato e accaparrarsi un posto al finestrino è quasi impossibile.
Noi ci siamo saliti di sera, sul tardi, e ci siamo arrampicati attraverso la città. Eravamo in pochi: mi sono ritrovata seduta subito alle spalle del conducente, il finestrino aperto e la mano protesa. In certi momenti il gioco di curve e salite e poi discese pareva una sorta di montagne russe su strada. E il tram sfiora realmente gli edifici, a tratti sembra li accarezzi, mentre la città ti avvolge nella sua melanconia meravigliosamente vitale e luminosa. Obrigada, Lisboa.
Due info utili

Il sito web di Lisbona

http://www.lisbona.info

Il nostro b&b: www.casinhadasflores-lisboa.com

Pharmacia museo e ristorante

Enoteca de Belem: