E’ una città bellissima. Veramente. Che diventa magnifica, abbagliante quando c’è il sole. Cielo blu, senza una nuvola. Una città che ti costringe a voltarti in su per non perdere nulla. E a goderti, a passo lento, i quartieri, i vicoli, i giri di tapas e sangria.

Una città che alza la testa orgogliosa a ogni balcone. Fiera ed energica.

Una città che ti mette voglia di camminare.
Siamo arrivati a Barcellona da una settimana e già mi pare di essere lontano, completamente immersa in un mondo nuovo, eccitante. Cose da guardare, toccare, annusare. Nuovi ritmi, sapori e impegni. Sono in movimento e sono felice. Ne avevo bisogno. 

Sono passati setti giorni e ci stiamo orientando. Le prime visite del fine settimane (sotto la pioggia), il primo giorno di asilo di Alice (sotto la pioggia, sigh) e il primo raggio di sole, tre giorni fa. 

Ho preso le misure con questa casa di passaggio: una cucina ridotta all’essenziale ( dle tipo che se vi dico due pentole due, sono proprio due, lol!), un retro con lavatrice sul balcone (che a guardare dal quinto piano in giù mi viene male, ogni volta), un terrazzino inondato di luce (direi la parte migliore!), dal quale contemplare i tetti e il Tibidado. 

A voi, il retro:-)… notate la rete in basso? Beh se perdo un paio di calzini stesi so dove andare a cercarli.

 

Il lato bello, bello. E i miei acquisti di stamattina:-)

Il parquet interno scricchiola poco aderente al pavimento, ma non alla maniera londinese, tanto che ieri il vecchietto di sotto ci ha suonato perché Alice e Lea disturbavano la sua siesta (alle 5 del pomeriggio…).

Adoro il nostro quartiere. Siamo a Gracia, una zona tranquilla e residenziale, anima di tutti i focolai rivoluzionari catalani. Se Barcellona è Catalogna prima di essere Spagna, Gracia è Gracia prima di essere Barcellona. 

Vicina alle manifestazioni di una città che il primo maggio ha fatto sentire la sua voce. 

Ci si perde fra le sue piazze, i negozietti di ogni genere e locali. Basta fare due passi per passara dai tipici ristoranti catalani e spagnoli a specialità da tutto il mondo: indiane, cinesi, giapponesi, thai, fusion, italiane, argentine…

Aggiungeteci il Mercat de la Llibertat proprio a due passi e capirete perché sono già innamorata.

Mi mancava questa energia. Barcellona è una città europea, in crisi come tante, ma non ha perso la sua vitalità. Il suo cosmopolitismo. La sua fierazza. Facile sentirsi affascinati, soprattutto arrivando da un paese dove tanto di questo pare essere svanito negli ultimi mesi, anni…

Al mattino usciamo presto. Di solito io, Alice e Lea. Prendiamo la metro, una linea, cambio, la seconda. Le leoncina nel marsupio, perché purtroppo anche qui, ad eccezione di pochi ascensori, per lo più in metro mamme e passeggini hanno vita dura. Però mi piace. 

Riconoscere dopo qualche giorno i percorsi, il via vai di facce e lingue da ogni parte del mondo, i musicisti che si alternano nelle stesse postazioni.

L’asilo di Alice è il tipico asilo per stranieri: un miscuglio di nazionalità che si incontrano grazie all’inglese o al tedesco. Il primo impatto è stato caotico, informale. E ovviamente così poco italiano. Escono, tutti i giorni o quasi. Oggi, sono stati al mare, in spiaggia. Una camminata di bimbi in fila a due, senza troppi problemi. Le mani sporche di sabbia e i capelli che sanno di salsedine.

Io lavoro, mentre Alice è all’asilo e Lea gironzola col passeggino con la nostra super fatina italiana (alias baby sitter, grazie ad Alessandra che me l’ha fatta conoscere:-)). Appunti sparsi, idee del prossimo libro che devono diventare in queste settimane i sei capitoli che lo formeranno. 

Però abbiamo anche fatto alla moda dei Barcellonesi. Siamo usciti tra sabato e domenica e le sere in cui Lui non torna dopo le dieci…

Perdonatemi ma di foto ne ho scattate poche. Non è semplice con le due pupe al seguito. E soprattutto se ti porti la Canon, ti fai bastare l’obiettivo basic…

Per la gioia di Alice (e lavoro della sottoscritta) siamo stati all’Acquario, al museo Marittimo e al Museo delle Cere.

Il meglio però è stato domenica. Siamo saliti con la funicolare a Montjuic, la montagna degli ebrei, punto panoramico sull’intera città fino alla zona del porto. Da lì siamo scesi passando tra i viali dei giardini, sino alla Fondazione Mirò.

E allo stadio olimpico, dove la sottoscritta pensava giocasse il Barça, una vera e propria fede più che una squadra di calcio. Grazie a Luca di aver corretto la mia ignoranza, e pensare che Lui mi ha detto ora che mentre eravamo lì mi stavo giusto dicendo che lo stadio non è utilizzato (e appunto non ci sono nemmeno le porte:-))). Chiedo venia!

Da qui ci siamo spostati verso il centro, arrivando al Barrio Gotico. Che al momento, dopo Gracia, è il mio posto del cuore. Vicoli e vicoli, stretti, dove la lune gioca a sprazzi tra le finestre e i balconi.

Trasformando ogni cosa, rendendo speciale ogni angolo. Persino i più banali.

 

 

Balconi e finestre, panni candidi e bandiere arancio acceso.

 e stella su fondo blu.

 

E la mia cucina? Per ora sta tutta nel prossimo libro (in gran parte già fotografato:-)) e negli assaggi on the road. Da segnalare le mie tapas, per ora del cuore, a "La Pepita" e la fideua (paella a base di cortissimi spaghettini) a L’Arrosseria Xativa. 

 

Piesse: volete partecipare anche voi al prossimo libro de Il Cucchiaino? Forza papà o mamme per i papà spedite le vostre ricette. Basta essere semplici, non per forza chef, ma proporre qualcosa che amate fare coi vostri bambini. 

Vi aspetto!!!