Minipolpettoni a sorpresa

Era da tempo che il blog non rimaneva abbandonato tanto a lungo… in questo mese è stato un sussegursi di cambiamenti, che ancora non sono finiti. Rifatte le valigie siamo rientrati da Barcellona, e mi sono catapultata nelle ultime ricette da fotografare per il prossimo libro. Nel frattempo ho terminato i testi (introduzione compresa, che è sempre la più complicata:-)), ripreso in mano gli altri lavori, scelto le tre ricette esterne da far entrare nell’ultimo capitolo e versate qualche lacrima alla festa di fine anno di Alice (ehe, evento importante perché a settembre comincia la scuola…). E poi il blog ha compiuto quattro anni. Il tempo vola…

Il periodo intenso pare non essere terminato (considerato che abbiamo un trasloco di casa fra un mese per il quale sto già pregando di sopravvivere), però devo ammettere che mi sto godendo almeno la fase di impaginazione del libro: è meraviglioso come i materiale, testi, ricette, foto e disegni assumano l’anima che tu avevi nella testa. E per me di solito irrequieta, presa da mille idee diverse, è un periodo di calma (qualcuno direbbe apparatente). 

Comunque veniamo alle cose importanti. Ora lo so. In Italia abbiamo tanti chef di alto livello, ma a casa sono pochi gli uomini che cucinano. O almeno questo ho pensato considerata la scarsa raccolta di ricette esterne. 

Rispetto al Cucchiaino c’è una novità perché due ricette sono di papà che si improvvisano cuochi, una invece è di un papà che cucina per lavoro visto che è uno chef (per di più stellato:-)).

Saranno con noi quindi nel capitolo "Lo faccio con papà", Peter e Luca, e Marco con i suoi 4 bambini. Invece la terza ricetta è dello chef Giancarlo Morelli del ristorante Pomiroeu che ha cucinato per noi con il figlio Guglielmo. 

 

Ecco del libro ci sarà tempo di raccontare prima dell’uscita autunnale, meglio tornare in cucina che qui pare non lo si faccia per nulla ormai:-)

La ricetta è di quelle da "non ho tempo, sono di corsa e delego il più al forno". Mini polpettoni. La cosa strana è che la sottoscritta era la prima volta che si cimentava nel genere, qui a casa conosciamo variazione di polpette di ogni tipo, di polpettoni no.

Ho voluto stare sulla tradizione, scengliendo un impasto a base di carne, ma introfulando all’interno una sorpresa che ha fatto giocare a nascondino l’Aliciotta . Una volta scovata la sorpresa veniva assaggiata o passata alla piccolina di casa.

Ho utilizzato un macinato di manzo e vitello, con l’aggiunta di patate lessate e schiacciate, erbe fresche, scorza di limone, parmigiano e uova.

E poi verdure a sorpresa all’interno: carote, zucchine, fave e pomodorini. Che potete variare a vostro piacimento.

La ricetta.

Ingredienti (per 4)

500 g di macinato di manzo e vitello

2 patate lessate e schiacciate
2 carote

una manciata di pomodorini

1 zucchina baby

una manciata di fave sbollentate

timo limonato, basilico e maggiorana (o altro a vostro piacere)
2 uova
2 cucchiai di Parmigiano Reggiano
1 cucchiaino di scorza di limone

un pizzico di sale

Si fa praticamente da solo:-). Mescolate la carne con le patate schiacciate in una ciotola, aggiungete le uova, amalgamando per bene gli ingredienti. Unite quindi le erbe fresche sminuzzate, la scorza di limone e il parmigiano. 
Io ho poi preparato delle versione mini utilizzando i contenitori da plumcake piccole, rivestiti da carta da forno. 

Li ho riempiti fino alla metà con l’impasto di carne, ho posizionato nel mezzo una carotina o una piccola zucchina, in altri ho intervallato carote e zucchine coi pomodorini e le fave.  

Ho finito di riempire i contenitori con altra carne, ho spolverato con una manciata di pangrattato, e bagnato con un filo di olio d’oliva.

Infine via in forno per circa 30-40 minuti a 185° (forno statico).

Barcellona. Perché già la amo.

E’ una città bellissima. Veramente. Che diventa magnifica, abbagliante quando c’è il sole. Cielo blu, senza una nuvola. Una città che ti costringe a voltarti in su per non perdere nulla. E a goderti, a passo lento, i quartieri, i vicoli, i giri di tapas e sangria.

Una città che alza la testa orgogliosa a ogni balcone. Fiera ed energica.

Una città che ti mette voglia di camminare.
Siamo arrivati a Barcellona da una settimana e già mi pare di essere lontano, completamente immersa in un mondo nuovo, eccitante. Cose da guardare, toccare, annusare. Nuovi ritmi, sapori e impegni. Sono in movimento e sono felice. Ne avevo bisogno. 

Sono passati setti giorni e ci stiamo orientando. Le prime visite del fine settimane (sotto la pioggia), il primo giorno di asilo di Alice (sotto la pioggia, sigh) e il primo raggio di sole, tre giorni fa. 

Ho preso le misure con questa casa di passaggio: una cucina ridotta all’essenziale ( dle tipo che se vi dico due pentole due, sono proprio due, lol!), un retro con lavatrice sul balcone (che a guardare dal quinto piano in giù mi viene male, ogni volta), un terrazzino inondato di luce (direi la parte migliore!), dal quale contemplare i tetti e il Tibidado. 

A voi, il retro:-)… notate la rete in basso? Beh se perdo un paio di calzini stesi so dove andare a cercarli.

 

Il lato bello, bello. E i miei acquisti di stamattina:-)

Il parquet interno scricchiola poco aderente al pavimento, ma non alla maniera londinese, tanto che ieri il vecchietto di sotto ci ha suonato perché Alice e Lea disturbavano la sua siesta (alle 5 del pomeriggio…).

Adoro il nostro quartiere. Siamo a Gracia, una zona tranquilla e residenziale, anima di tutti i focolai rivoluzionari catalani. Se Barcellona è Catalogna prima di essere Spagna, Gracia è Gracia prima di essere Barcellona. 

Vicina alle manifestazioni di una città che il primo maggio ha fatto sentire la sua voce. 

Ci si perde fra le sue piazze, i negozietti di ogni genere e locali. Basta fare due passi per passara dai tipici ristoranti catalani e spagnoli a specialità da tutto il mondo: indiane, cinesi, giapponesi, thai, fusion, italiane, argentine…

Aggiungeteci il Mercat de la Llibertat proprio a due passi e capirete perché sono già innamorata.

Mi mancava questa energia. Barcellona è una città europea, in crisi come tante, ma non ha perso la sua vitalità. Il suo cosmopolitismo. La sua fierazza. Facile sentirsi affascinati, soprattutto arrivando da un paese dove tanto di questo pare essere svanito negli ultimi mesi, anni…

Al mattino usciamo presto. Di solito io, Alice e Lea. Prendiamo la metro, una linea, cambio, la seconda. Le leoncina nel marsupio, perché purtroppo anche qui, ad eccezione di pochi ascensori, per lo più in metro mamme e passeggini hanno vita dura. Però mi piace. 

Riconoscere dopo qualche giorno i percorsi, il via vai di facce e lingue da ogni parte del mondo, i musicisti che si alternano nelle stesse postazioni.

L’asilo di Alice è il tipico asilo per stranieri: un miscuglio di nazionalità che si incontrano grazie all’inglese o al tedesco. Il primo impatto è stato caotico, informale. E ovviamente così poco italiano. Escono, tutti i giorni o quasi. Oggi, sono stati al mare, in spiaggia. Una camminata di bimbi in fila a due, senza troppi problemi. Le mani sporche di sabbia e i capelli che sanno di salsedine.

Io lavoro, mentre Alice è all’asilo e Lea gironzola col passeggino con la nostra super fatina italiana (alias baby sitter, grazie ad Alessandra che me l’ha fatta conoscere:-)). Appunti sparsi, idee del prossimo libro che devono diventare in queste settimane i sei capitoli che lo formeranno. 

Però abbiamo anche fatto alla moda dei Barcellonesi. Siamo usciti tra sabato e domenica e le sere in cui Lui non torna dopo le dieci…

Perdonatemi ma di foto ne ho scattate poche. Non è semplice con le due pupe al seguito. E soprattutto se ti porti la Canon, ti fai bastare l’obiettivo basic…

Per la gioia di Alice (e lavoro della sottoscritta) siamo stati all’Acquario, al museo Marittimo e al Museo delle Cere.

Il meglio però è stato domenica. Siamo saliti con la funicolare a Montjuic, la montagna degli ebrei, punto panoramico sull’intera città fino alla zona del porto. Da lì siamo scesi passando tra i viali dei giardini, sino alla Fondazione Mirò.

E allo stadio olimpico, dove la sottoscritta pensava giocasse il Barça, una vera e propria fede più che una squadra di calcio. Grazie a Luca di aver corretto la mia ignoranza, e pensare che Lui mi ha detto ora che mentre eravamo lì mi stavo giusto dicendo che lo stadio non è utilizzato (e appunto non ci sono nemmeno le porte:-))). Chiedo venia!

Da qui ci siamo spostati verso il centro, arrivando al Barrio Gotico. Che al momento, dopo Gracia, è il mio posto del cuore. Vicoli e vicoli, stretti, dove la lune gioca a sprazzi tra le finestre e i balconi.

Trasformando ogni cosa, rendendo speciale ogni angolo. Persino i più banali.

 

 

Balconi e finestre, panni candidi e bandiere arancio acceso.

 e stella su fondo blu.

 

E la mia cucina? Per ora sta tutta nel prossimo libro (in gran parte già fotografato:-)) e negli assaggi on the road. Da segnalare le mie tapas, per ora del cuore, a "La Pepita" e la fideua (paella a base di cortissimi spaghettini) a L’Arrosseria Xativa. 

 

Piesse: volete partecipare anche voi al prossimo libro de Il Cucchiaino? Forza papà o mamme per i papà spedite le vostre ricette. Basta essere semplici, non per forza chef, ma proporre qualcosa che amate fare coi vostri bambini. 

Vi aspetto!!!

Le pupe di pane. Buona Pasqua!

Impastare è un gesto antico: elementi semplici che con il passare delle ore prendono vita e assumono forme infinite. Come quella delle bambole con le uova per Pasqua. Si tratta di una tradizione che mi ha sempre affascinato e che attraversa regioni e cucine diverse. Un tempo si modellevano queste bambole nell’attesa della domenica di rinascita. I bambini avevano poco o nulla e queste pupe di pane, molto spesso dolci, erano un regalo speciale. 

Ho preparato l’impasto la sera con la pasta madre: desideravo una lievitazione lunga, che sapesse di attesa e coccole. E ieri abbiamo impastato creando le nostre bambole. Tre: ognuna con il suo uovo, uno più grande, gli altri due più piccoli. 

Siamo noi: e già la sensazione di dirlo mi ha emozionato. Ci sono io, con il mio carico di anni e attese, e ci sono loro, le mie piccole donnine con mani cuoriose e piedi alati. 

Mi è parso il modo migliore per augurarci e augurarvi Buona Pasqua.

Dopotutto la Pasqua è un po’ come la primavera, o almeno questa è ciò che credo. Un’occasione di rinnovamento, "un passare oltre" l’inverno e l’oscurità verso nuova vita. E ogni volta possiamo ributtare la "palla" in alto e ricominciare da capo. O quasi.

 

Ho scelto, invece della versione dolce, un pane salato da utilizzare per la tavola di Pasqua (se sopravvive!)

Ingredienti

250 g di farina manitoba

200 g di farina 00

100 g di farina integrale

100 g di ricotta di pecora

2 cucchiai di olio d’oliva

1 cucchiaio di parmigiano

sale

zucchero

lievito di birra secco o fresco (o pasta madre)

uova (bianche o di quaglia o tradizionali)

semi di papavero e sesamo

(curcuma)

Procedimento

Se utilizzate il lievito di birra (fresco o secco), sciogliete quest’ultimo in mezzo bicchiere di acqua tiepida con un cucchiaino di zucchero o miele. Setacciate le tre farine e mescolatele insieme all’olio e al lievito. Sciogliete in un biccheire di acqua tiepida un cucchiaio scarso di sale e aggiungete all’impasto. Unite la ricotta e il parmigiano e impastate. Se l’impasto risultasse troppo secco unite altra acqua. 

Lavorate per dieci minuti circa fino a ottenere una palla compatta ed elastica. 

Posizionatela in una ciotola leggermente unta di olio, coprite con della pellicola unta di olio e mettete a lievitare in luogo caldo (circa 30°) per un paio di ore.

L’impasto dovrà triplicare di volume. 

Riprendetelo e ricavate delle porzioni per modellare le bambole. Appiattite una palla a triangolo, una pallina per la testa, delle noci di impasto per i piedi, delle piccole strisce per i capelli. 

Ricavate dei sottili salsiciotti per le braccia. Spennellate le bambole con olio e latte, appoggiate sulla pancia l’uovo e fermatelo con le braccia. Decorate la veste con semi vari (ed eventuale curcuma). 

Lasciate lievitare per un’altra ora, quindi preriscaldate il forno a 190°. Cuocete il pane per 30 minuti circa. 

 

 

La pastiera degli eretici con gli ovetti sopra

Ho cominciato a pensare a Pasqua da settimane. Prima con la ricerca di uova candide, candide, per lavoro, poi a causa di un simpatico pulcino, quindi con lista di quello che sarà il pranzo (che vede dei gnocchi non ti scordar di me in pole position:-)). Giorni fa, complice l’arrivo di ovetti mignon per la pupa grande, ho voluto sperimentare una versione personale (e direi molto eretica della pastiera). Ho mantenuto l’idea, profumato con l’essenza di fiori d’arancio (come pastiera comanda) ma ho eliminato il grano (non l’avevo a casa e avevamo voglia di dolce quanto prima!). E’ nata questa torta, friabile, morbida e dolce al punto giusto, perfetta per i miei coinquilini.

Una crostata bella da vedere ma veloce da preparare che sa di primavera e Pasqua. In mezzo c’è finito un nido di scorza d’arancia (ecco, qui è nata una vera e proria ricerca sul perfetto rigalimoni per questo genere di lavori…) e ovetti fondenti eccetto uno. Pare un nido, pare un fiore, su un manto di bianco candido. Meraviglia!

Per la crema ho creato a modo mio e l’esperimento mi è piaciuto molto: ricotta (vaccina, nel mio caso), latte,  zucchero e un cucchiaio abbondante di maizena. E il profumo di fiori d’arancio. 

Per la frolla ho utilizzato solo tuorli e alla farina 00 ho aggiunto della fecola di patate per un risultato più leggero e morbido. Non ho esagerato con lo zucchero, e pure la pupetta di casa ha fatto il suo assaggio.

Essendo, dopotutto, parente lontana di una pastiera, invece della scorza di limone nell’impasto è finita scorza d’arancia.

E considerato che nei prossimi giorni i pupi si aggireranno per casa (perché le loro vacanze sono sempre così lunghe:-)??), è una buona idea da preparare insieme!

Ingredienti

200 g di farina 100

100 g di fecola di patate

2 tuorli

100 g di burro

80 g di zucchero

scorza di limone

un pizzico di lievito o cremor tartaro

 

Per la crema

250 g di ricotta vaccina

1 bicchiere di latte (circa 80-90 ml)

50 g di zucchero

1 cucchiaino di essenza di fiori di arancia 
1 tuorlo

 

ovetti di cioccolato

scorza fine di un paio di arance bio

zucchero a velo

Procedimento

Setacciate la farina e la fecola e il pizzico di lievito insieme, mettete su una spianatoia e aggiungete i tuorli e lo zucchero.  Cominciate a mescolare insieme ed aggiungete il burro ammorbidito a temperatura ambiente. Lavorate fino a ottenere una palla, avvolgete nella pellicola e lasciate riposare in frigo per 30-40 minuti.

Intanto preparate la crema. Sciogliete lo zucchero nel latte tiepido, lasciate raffreddare, quindi mescolate la ricotta con il tuorlo, lavorando fino ad avere una crema omogenea. Aggiungete un cucchiaio di maizena e il latte a filo (la crema non deve risultare troppo liquida, quindi se ha la consistenza corretta, smettete di unirne). Mescolate. Unite un cucchiaino di fiori di arancio (anche di più se vi piace:-)). 

Riprendete l’impasto, stendetelo e rivestite una teglia da crostata di 20 cm circa. Con il pollice o un bastoncino di legno segnate le scanalature sui bordi (è una crostata, no?). Con una forchetta fate dei piccoli fori sul fondo, quindi riempite con la crema livellando per bene.

Cuocete in forno a 185° per 40 minuti circa. Lasciate raffreddare per bene, poi disporre al centro, in maniera circolare, della scorza di arancia sottile come fosse un nido e poi nel mezzo le ovette di cioccolato. Coprite il centro con un cerchio di carta argentata e spolverate la parte restante con zucchero a velo.

Primavera, equinozi e piselli!

Pensi che la primavera stia tutta in una riga di poesia. Con quel 21 ben stampato nella memoria: questione di luce, giornate che si fanno tiepide e rami che si colorano. Bene, così è ma si tratta di equinozi. E quest’anno, e quello dopo e quello dopo ancora, la primavera arriva il 20. Niente 21. E per una che aspetta il 21 a primavera per tutto l’anno, nemmeno fosse Natale o il compleanno, questa cosa è destabilizzante. Metteteci una settimana di grigio, Lui via oltreoceano e pochissime forze per macinare i devo. 

Poi basta una giornata di sole, una manciata di piselli freschi e una pupa al seguito dal "verduriferofruttivendolo" e tutto cambia.

 

"Mamma, i piselli! Li prendiamo?". Ultimamente ho un fruttivendolo che mi procaccia di tutto e di più, cose impensabili e improbabili (e di cui a volte mi vergogno, sob!) per lavoro. Tipo quando a febbraio, sotto la neve, ho cercato gli asparagi o l’altra settimana ho chiesto della possibilità di rintracciare dei cachi (poi eliminati dalla lista di foto possibili…).  

Il lato positivo è che le sue origini siciliane fanno in modo che trovi da lui arrivi che sanno già di primavera. Come i piselli. Ammetto che la sottoscritta, nel suo tour lavoro-foto-asilo-spesa al volo di cose dimenticate- ritorno alla base, i piselli li aveva un po’ snobbati. E guardato scettica chi affermava che erano ottimi crudi. 

Li ha testati Alice: sgranati lì e mangiucchiati come fossero caramelline verde smeraldo.

"Mamma, sono dolci!". 

E cosa può fare primavera se non una sgranatura di bacelli? Questa è stata veramente speciale, consumata in compagnia anche della più piccola di casa, dedita soprattutto all’assaggio dei bacelli, lol!

 

Lo spettacolo delle mie due primavere mi ha riconciliato con con tutti quei devo che occupano troppi spazi della mia giornata ultimamente.

E come primavera comanda i piselli sono finiti in una preparazione di quelle tanto semplici da parere banali nel "perché non ci ho mai pensato?".

Crudi, sì, crudi, marinati per un’oretta in una citronette a base di olio extravergine, limone, erbe selvatiche altoatesine (ortica, calendula, fiordaliso, timo etc..) in sostituzione della menta fresca che non avevo (e che consiglio vivamente!) e pezzetti sbriciolati di feta.

 

Vi auguro buon inizio primavera e vi rimando a questo link qui per donare tante primavere a chi sta cercando di camminare verso casa!

Spaghetti spaziali e cavoli rapa

Potrei dire del tempo che corre troppo veloce (ma è vero, mica è una scusa) o dei troppi impegni arrivati tutti insieme (bene, mai lamentarsi del troppo lavoro:-)), oppure di qualche giorno sull’isola giusto per ricordarsi che alla fine anche se gli anni passano vale sempre la pena festeggiare. Potrei dire di tanto ma alla fine quando qualche minuto fa ho aperto il blog, rimandando la pausa pranzo, ho pensato che proprio, ma proprio non si poteva più guardare un post che brindava all’anno vecchio e a quello nuovo.

Quindi scrivo. Veloce, giusto per non perdere traccia dei nostri pasticciamenti nella vita che va più rapida ormai dei miei pensieri:-).

Parliamo di cavoli, di rape e di una ricetta da fare a quattro mani (che Alice si è divertita rendendosi utile alla causa familiare "metti il piatto in tavola":-)).

L’idea di partenza non è mia. Mesi fa avevo visto una foto dove il solito wustel veniva reinventato in una veste creativa: tagliato a fettine e infilzato con gli spaghetti. A prova di bambino, di quelli duri e puri che la fame non sanno bene cosa sia. 

Noi di wustel ne consumiamo pochi. Per Alice è un piatto che si collega con i monti, dell’Alto Adige soprattutto. 

Qauclhe settimana fa però andavo di fretta: nel frigorifero avevo ancora dei wustel e dei cavoli rapa acquistati a inizio dicembre durante un weekend a Zurigo, a trovare zii e cuginetti. Mi è venuta in mente quella foto. E ho messo Alice al lavoro. Un modo per stare insieme mentre preparavo la cena. Mamma e figlia (ormai sempre più brava, devo ammetterlo).

Ho tagliato i wustel a tocchetti e Alice ha spezzato degli spaghettini e li ha infilati nelle fette: parevano degli oggetti spaziali.

Dal primo esperimento ne sono nati altri (bisogno di dirlo?:-)) con tocchetti di prosciutto cotto tirolese e persino salmone (vedete qui). Il tutto mai semplicemente bollito ma inserito in basi di verdura passata. 

Col wustel, visto il contesto molto "germanico" ho abbinato dei cavoli rapa (in tedesco li chiamano Kohlrabi) acquistati al mercato Viaduckt di Zurigo, posto da segnarsi se siete da quelle parti: direi molto "svizzero" e interessante soprattutto per la location (un vero e proprio viadotto ferroviario) più che per il mercato stesso (ecco niente di paragonabile al Borough di Londra:-).

 

 

La ricetta.

Per smorzare il gusto da rapa ci ho aggiunto metà mela e una patata e ho utilizzato due o tre cucchiai di vellutata per Lea (10 mesi). Ottimo!

Ingredienti (per 3+ un bebè)

3 cavoli rapa

1 patata

1/2 mela

cipollotto

2 wustel tipo wiener o una fetta di prosciutto cotto tirolese (o Praga) tagliato a un cm di altezza

una manciata di spaghettini (circa 50 g)

olio extravergine d’oliva

sale, cumino

 

Procedimento

Pelate il cavolo rapa e la patata, sbucciate la mela. Tagliate tutto a tocchetti, lasciate stufare un cipollotto affettato sottilmente con un cucchiaio di olio extravergine e unite le verdure e la mela. Rabboccate con acqua tiepida e lasciate cuocere lentamente fino a quando risulteranno morbide. Passate al mixer. A questo punto io ho tolto un mestolo per Lea e ho aggiustato il resto con sale e un cucchiaio di cumino. 

Con Alice ho preparato gli spaghetti. Ho tagliato i wustel a tocchetti e li ho fatti saltare in padella per un minuto con un cucchiaio di olio. Li ho quindi ripresi, fatti raffreddare per qualche minuto. Abbiamo spezzato gli spaghettini (lunghezza di circa 3-4 cm) e li abbiamo infilati nei pezzi di wustel. 

Ho fatto cuocere gli spaghetti nella vellutata di rapa e srevite ben calda.