Il posto delle fragoline

Capita di sbagliare sentiero. Cerchi la cascata, armato di cartina (e ultima tecnologia, vedi “il non possiamo perderci” di Mr B.) e ti ritrovi in faccia la tua infanzia (noi) mentre la pupa sviluppa una nuova passione: quella per le fragoline, di bosco, piccole e dal sapore che è profumo.

E’ stato così che è iniziata la nostra prima giornata a 1200 metri, lontani dalla folla, in un posto, Drei Kirchen (Tre Chiese) che pare avesse stregato pure uno che per irrequietezza non è che fosse molto lontano dalla sottoscritta (il caro Sigmund).

 

Ci si arriva abbandonando il proprio mezzo e salendo sopra Barbiano (siamo proprio vicino a Bolzano) dove per l’appunto si trovano tre chiese (ette) una attaccata all’altra. Basta farsi consegnare tre vecchie chiavi pesanti (secondo me devono aver aperto anche qualche porta dalle parti di Biancaneve e Pollicino) e si entra. E poi ti spingi poco più in là: il bianco del bucato a far da cornice ai monti e la culla di legno che dondola da secoli. 

Tutti intorno montagne e distese verdi da ritrovarci la propria testa.

Sì, perché con gli anni ho sviluppato un’autentica ammirazione per questi posti e la loro capacità di riconciliarti con un sacco di cose.
Ad esempio con le temperature più miti o la memoria di quando eri anche tu bambino e ti appassionavi per pezzate, pony e cavallini e bè quelle fragoline. Che, nel caso, mi hanno salvato perché al lamento di pupi dallo zaino ho risposto con la raccolta. E di fragolina in fragolina alla cascata (quella superiore) di Barbiano ci siamo arrivati.


Vi consiglio la salita e poi la discesa così come un rapido giro a Chiusa (anche se personalmente ho preferito Vipiteno vista il giorno dopo) comprensivo di Biergarten ( e birra dei piccoli, alias 100% Apfelsaft, succcooo di mellla).

Dall’isolamento di DreiKirchen ci siamo cimentati in un passo: quello di Pennes che collega Vipiteno con una delle valli più incantate dell’Alto Adige (o almeno a me arrivando ha fatto quest’impressione).

In Val Sarentino si può anche arrivare attraverso una lunga serie di gallerie da Bolzano, ma a parer mio dal Passo Pennes è tutta un’altra cosa. Vai sù, sù, fai tappa in una baita dove bevi latticello fresco e magari “aperitivizzi” con speck e formaggio al taglio (che ti offrono dal tavolo vicino, bè a me e pupi, Mr B. è rimasto senza) e poi riscendi in una mare di rododendri, mucche e masi (ben 541) che paiono usciti da qualche secolo fa.

Boschi dappertutto che, se ti cimenti in una passeggiata (ad esempio risalendo dal laghetto di Valdurna lungo il torrente), senti nell’aria: qui è il regno del pino mugo. E io credo di essere diventata, almeno per qualche tempo la sua sacerdotessa (fino alla prossima passione da volubile ragazza). L’ho annusato, ho devotamente collezionato l’essenza, mi sono letteralmente innamorata di un burro al pino mugo che ho spalmato e spalmato, l’ho assaggiato in versione iced.
Peccato che come sacerdotessa non sono riuscita a strappare i segreti per consumare il rito a casa (della serie se qualcuno sa come preparare del burro al pino mugo, verde e profumato come fosse fatto di aghi, me lo dica!).

 

In Va Sarentino vi assicuro che è impossibile, ma realmente impossibile non trovare pace (pure per me): lo sguardo si apre al verde verso ogni direzione, i prati sono di un verde che io pensavo esistere solo in qualche vecchia favola, e bè qua e là incontri dei personaggi che ti portano indietro e indietro nel tempo ( e se punti la macchina si girano contenti verso il tuo obiettivo…). 

Compresi degli omini di pietra (o “Stoanerne Mandlen”) in cima ad un colle sopra Sarentino dove le streghe si ritrovavano a far baldoria. Se passate di qui fate come noi, salite in cima, la vista è spettacolare, c’è una varietà di mucche da far perdere la testa al pupo e poi fate tappa alla malga a mezza strada per latte fresco, canederli e strudel.

A proposito di cibarie (siamo o no su un foodblog anche se per pupi?) tra le specialità, oltre alle interpretazioni al pino mugo, abbiamo assaggiato brodo e Sprizl (sostanzialmnte pane al grano saraceno fritto) al Messnerhof: ci siamo andati per caso sbirciando I posti che parteciapvano alla rassegna gastronomica Val Sarentino ed è stato una piacevole scoperta (pupi ha ripiegato per la trota di torrente). Ad ognuno poi il suo estratto: sambuco per Mr B., menta pura per la pupetta e lampone per la sottoscritta.

 

Consigli in ordine sparso.

A Barbiano ammirate il panorama dal Bad DreiKirchen: noi ( Mr B. et moi) siamo riusciti nell’impresa di goderci un dopo cena con pupi dormiente alle 21.30 o’ clock. L’evento è stato annegato in un Gewurtztraminer e grappa al cirmolo.

Se come me amate le erbe approfittate di questi posti: sono persino riuscita a trovare del timo limonato secco, direi che la soddisfazione è senza prezzo:-).

 

Zaino ( e pupo in spalla) salite dal lago di Valdurna, la passeggiata tra masi di legno, piccole baite diroccate e torrenti è da incanto. Se vi riesce fate come me e pupi: piedi nudi sull’erba e poi via nell’acqua —-, “che fredddo”.

 

Infine, se siete dei food addicted e avete un pupo curioso, che ha superato almeno i 18 mesi spingetevi per una sera fino al BadSchoergau, prenotate un tavolo nella stube (magari la stessa sera in cui c’è una partita importante, tipo la finale mondiale e quindi tutti sono rimasti a casa) e godetevi una delle cene migliori di questi ultimi mesi. Qui credo che l’aliciotta passerà alla storia per la capacità di accapparrarsi il piatto altrui, mentre la sottoscritta si spalmava l’ennesimo mini panino fatto in casa di burro verde, verde al profumo di bosco…

Per tutto il resto rimando a www.sarntal.com e www.barbiano.org, per gli scettici lascio la parola a Sigmund (che alla fine mi sembra un gran saggio): "Mi avvolgeva un senso di ritemprante solitudine, impreziosita da monti, boschi, fiori, acque, castelli e monasteri, senz’anima viva intorno … la sera, poi, la cena è stata deliziosa".

Si scioglie la neve, al mare.

Non ho ancora deciso. Se preferisco la fondue di pesce in montagna o lo scavo del riccio, a gara con la vecchia, maddalenina doc. Di sicuro ne ha mangiati più di me, di ricci. Intendiamoci un po’ pazzerella lo sono sempre stata. Si è aggiunto il caso a sballottarmi dall’ultima neve di montagna al primo mal di terra, quello che mi prende sull’isola dell’isola. Aggiungeteci dei giorni di corsa, un mezzo lavoro nuovo in più, quello di routine aumentato e la passione che mi ha portato al Salone (quello del mobile) pur non avendone il tempo:-).
Che ne è uscito? Un post un po’ in ritardo, Miss Cia che viste le foto della neve ha commentato "Me ne vuoi proprio parlare?" e io che in questo momento sono divisa fra una casa non ancora finita dove le porte chieste bianche tendono al "marron" e il resto degli impegni che non torna.
La cucina, quella di casetta, oggi non funzia, che ve lo devo dire? 

Ho bisogno di respirare un attimo, solo un attimo, con quella "Stille" che questi posti hanno (di montagna e non di isola).  E siccome al di là di cucina, ricette, e bla, bla, bla, ci sarà qualcuno che come me ha bisogno di ‘sta benedetta "Stille" o "calma, o silenzio, o chiarezza" come volete definirla, ho deciso che è cosa buona e giusta condividere. 

Dieci giorni fa sono rimasta affascinata dal lento sciogliersi della neve tra montagna e laghi, giusto una manciata di chilometri dopo il Maloja e mi son detta che sarebbe stato bello assistere al progressivo arrendersi del ghiaccio e alla riconquista delle acque. Andata e ritorno. 

Ho pensato che questa cosa c’entrasse tanto, ma proprio tanto con la primavera, il suo arrivo, e il naturale scorrere delle stagioni.  Di solito viviamo di assoluti: o il mare, caldo, sfacciato ed estivo, o la montagna, la neve totale e assoluta. E invece ci sono le vie di mezzo, quelle che non ci avevi pensato, ma possono anche piacerti. 

Nelle vie di mezzo ci sono pochi assoluti che non cambiano: l’isola di Chaviolas (c’è chi ha passato anni a fotografarla), il sentiero della Val di Fex che porta sino a Mount Selvas e la panchina sotto i larici di uno che a pensare ci passava tanto, troppo, tempo.

O cambiando scenario (che dopotutto ora sono qui), il profumo dei pini di Caprera, il traghetto avanti e indietro e il vento, di solito dispari (ed è iniziato solo oggi!).

 

E’ stato così che il post informativo si è trasformato giusto un po’: niente dove, come e perché. Sarà per la prossima volta, considerato che non potendo sedermi a guardare le nevi sciogliersi, ho già promesso all’aliciotta di ritornare. Là dove ora c’è ancora ghiaccio ci andremo con quelle buffe barchette a remi, a far spola da un lago all’altro.

 

 

 

Das Weiss: Engelberg-Lucerna

Solo in Svizzera ti può capitare di goderti un viaggio su trenino rosso, magari con il tu-tu del tempo che fu, dal finestrino paesaggio innevato e fiabesco e meravigliarti che il bello inizi già nello spostamento. Succede quando ti sposti in meno di un’ora dalla montagna (meno 16°) al lago, quello dei quattro cantoni. Da Engelberg a Lucerna e ritorno.
A Lucerna puoi ammirare uno dei mercati ortofrutticoli più belli del paese, mentre la neve, bianca e silenziosa, non rallenta nulla ma rende tutto più speciale. 

 

Da Engelberg a Lucerna e ritorno è di quei viaggi che fai in meno di un giorno, in questa stagione poi con la magia del Natale dei paesi nordici. La sottoscritta ha portato l’aliciotta e Mr B. con la scusa che bella la montagna, ma con l’intento nemmeno troppo segreto di ammirare il mercato di Lucerna del sabato. E devo dire che non mi ha deluso.

Che cosa mi ha conquistato? L’incredibile varietà di verdure senza ombra di dubbio, al di là dei fiori, dei formaggi (poco stupore qui mio che dopotutto siamo nel paese di mucche e pascoli) e di tutti quegli oggetti natalizi del periodo. Quante foto ho fatto? Non tante quante avrei voluto, perché le mie mani non sopportavano il freddo incredibile e quando ho tentato di afre senza guanti sono andata incontro a mezz’ora di sofferenza e al biasimo del medico di famiglia:-). 

In compenso non ho resistito e ho fatto scorta di prezzemolo riccio (fantastico simile della sottoscritta), carote rosse e arancioni, diversi tuberi (e non parlo di patate), erba cipollina e semi bio di ogni tipo. Per la serie presto il cucchiaino si inventerà qualcosa di nuovo.

 

Se volete qualche informazione in più sul mercato guardate qui: vi assicuro che non ho mai visto niente del genere in Italia (e mi chiedo ancora perché!).

Il mercato corre lungo l’argine, a ridosso del centro storico, collegato alla strada che porta alla stazione dal lungo ponte di legno. Il ponte della Cappella sul fiume Reuss è stato rifatto qualche anno fa per un incendio, ma mantiene inalterato il suo fascino.

Da lì ci si muove in fretta sulle eleganti strade del centro,  dove è facile trovare edifici che si trasformano in calendari dell’avvento con tanto di finestrelle decembrine. Qui si susseguono una serie di mercatini di Natale, che però non mi sono sembrati nulla di speciale rispetto a quelli di Germania e Austria. 

Sotto le neve siamo tornati ad Engelberg per raclette e chinoise (se ci capitate vi consiglio questo posto quie di prenotare la kaesestube). A cena ci siamo arrivati attraversando il paese a piedi con pupi nel bob, uno spasso:-).

Ad Engelberg, al di là di sci, passeggiate e ciaspolate, potete fare una puntatina al monastero dove c’è un museo dedicato al formaggio (in realtà è più un negozio e ristorante).
Ammetto, siamo stati pure qui e ora a casa devo avere non so quanti tipi di formaggio e previsione di fondue au fromage e raclette (questa seconda tipologia è divertente tra l’altro da allestire con i bebè, sopra i 18 mesi!). 

 

E poi neve, bianco e niente di più: la magia di vedere ogni cosa mutare, eppure rimanere la stessa. Mentre la neve impalpabile pare nemmeno pesare sospesa su un ramo.

Ein Maerchenherbst in Renon


Da bambina mi capitava di avvertire l’autunno nell’aria: lo sentivo l’odore di caldarroste misto a camino e foglie secche mentre mi godevo le ultime biciclettate pomeridiane. E poi tutti quei rossi, gialli vivi e marroni scuri secchi finivano tra le pagine dei libri, ad imperitura memoria:-).

Questa sensazione l’ho rivissuta forte giorni fa, vagabondando per "toerggelen".

Naturalmente Mr B. e io abbiamo apprezzato mosto d’uva (ma quanto è buono?? e soprattutto zero alcool che pare di bere quasi un succo di frutta), Alice ha preferito succo di mela Pinova:-). In comune per tutti e tre caldarroste sulle pendici del Renon.
Devo ammettere che erano anni che non mi capitava di vedere un foliage così spettacolare immerso in un paesaggio da fiaba (da qui, mi perdonino i puristi, il titolo del post). 

E’ andata avanti settimane con Mr B. che storpiava ‘sto benedetto "toerggelen" e Aliciotta che non vedeva l’ora di vedere il mitico trenino. E la sottoscritta che pensava e ripensava all’autunno che non c’era (o meglio non era) come ricordava.

Per tutti (ma soprattutto Mr B. che così quando vuole può ripassare) "torggelen" indica l’antico nome della pressa dell’uva e "toerggel" è dove ci si ferma tra un vagabondare e l’altro ad assaggiare vino e altre prelibatezze:-).

Lasciata Bolzano alle spalle, il "toerggelen" più autentico si consuma a Signato, a ridosso dei vigneti di Santa Maddalena. Noi ci siamo fermati in un’antica stube, di quelle tutte in legno e il soffitto altezza ottocento: al Signaterhof si respira l’atmosfera dei tradizionali masi e sui tavoli è facile individuare i resti di caldarroste e caraffe di mosto. 

Il Renon in realtà comincia appena cominciano a sparire i declivi di vigne e si affacciano le montagne. Si può decidere di percorrere uno dei tanti sentieri a piedi oppure scegliere di vedere la manciata di paesi che lo compongono dal finestrino del trenino che dal 1907 collega Collabo a Soprabolzano. Capitati sul vecchio trenino in legno stile inizio novecento, Alice non ha fatto altro che indicare dal finestrino quando non faceva su e giù dalla panchina in legno riscaldata (per la disperazione di Mr B. che la sottoscritta fotografava:-).
E’ incantevole vedersi scorrere l’autunno dal finestrino di un trenino che ha velocità di altri tempi: baite e masi immersi in macchie rosseggianti, pezzate e cavalli pigri, pigri sui prati ancora verdi e le montagne, dal Latemar allo Zittertal alle Dolomiti.
I tratti percorsi sono fin troppo brevi, ma appena scesi basta imboccare un sentiero per sentirsi immersi nel paesaggio da favola di cui dicevo facendo "ciak, croc" nei mucchi di foglie (Alice docet).

Se si punta verso la parte alta di Soprabolzano ( tragitto non così breve se la temperatura scende, scende e comincia a nevicare, ma non era autunno), si può fare una puntatina al Kaiserhof per gustarsi il piatto "Torggelen" e musica e vedere vicini vicini lama e cavalli. Mentre se si sale verso Costalovara, appropiatevi di una panchina e cercate di indovinare i mille riflessi degli alberi sul laghetto.

Percorrendo la strada panoramica verso Monte di Mezzo (non potete sbagliare perché il campanile rosso cipolla della chiesetta di santa Andrea vi farà da guida) si riescono ad nominare molte delle cime di fronte. E se si percorre un sentiero si arriva proprio di fronte alle Piramidi, quelle di terra del Renon. Facile capire come un tipo tanto difficile come Sigmud Freud qui si trovasse tranquillo, tranquillo:-).

Noi, Alice in spalla (di Mr B. si intende) abbiamo tentato anche la salita al corno, salvo tornare indietro per nevischio in aumento e pupa strillante:-).

Abbiamo accettato il consiglio di una coppia di autentici bolzanini (e che coppia!)  e con loro (e i loro racconti di tanti anni passati) ci siamo fermati in una baita (quella "rechts" guardando il Corno, mi ha detto Allina). Alice, con mia grande sorpresa, si è data alla carne, un’enorme Wienerschniztel (di questa taglia ne ho viste solo a Vienna): lo so, è un quasi fritto (si dovrebbe evitare fin quasi ai tre anni), ma era veramente eccezionale!.

E i souvenir della sottoscritta? Bè latticello fresco, fresco del contadino, mele e succhi Kohl con i quali ho già creato … (si vedrà:-)

Renon, mi piacerebbe ma non so… andateci, in autunno se avete voglia di foliage (e New England e Vermont sono troppo lontani) siete capitati nel posto giusto. …andateci, il trenino è per i bambini ma vi assicuro tornerete piccoli, piccoli, eccome… andateci e fermatevi a dormire all’albergo Tann, ai margini del bosco, avrete l’impressione di essere immersi nel profumo di pinus….andateci, se avete voglia di silenzi lunghi misti al lieve "ciakketare" delle foglie e anche per voi l’autunno non pareva più quello di una volta.

Consultate qui: www.renon.org o www.ritten.com

 

 

Del latte corretto, di “muu” & fattorie


E’ autunno già da ieri. Ed è fantastico. Perché le giornate hanno dentro, nell’aria, nella luce, nei colori e nei rumori l’autunno, senza per questo essere melanconiche o grigie. Naturale allora uscire en plein d’air.

Per l’occasione si è unita Miss Cia, prendendo il posto della sottoscritta dietro l’obiettivo di questo on the road. Io ho avuto il mio bel daffare dietro all’Aliciotta che, dopo aver cantato per mesi “ia, ia, o e zio Tobia”, questa volta in fattoria l’ho portata per davvero. Basta risalire la provinciale, lasciarsi alle spalle Milano e gli ultimi paesini prima del comasco, per arrivare a Birago: la Botanica è annunciata da una mucca pezzata, si supera il viale alberato e si entra in un’altra dimensione.

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Di tanto in tanto mi è capitato di venirci per comprare formaggi bio (la ricotta è fresca, fresca, fatta di solo siero), farina di riso e latte crudo e ho sempre pensato che con tutti quegli animali (mucche, cavalli, asino, capre, cane e gatto) per un bambino sarebbe stata una gioia farci un giro. E non ho sbagliato che Alice è stata tutto un indicare, ridere, correre e (per disperazione della sottoscritta) afferrare fieno da porgere a pezzate, frisone e non in bella fila.


Da quando il latte “crudo” si è cominciato a vendere alla "spina" sono molte le aziende agricole che hanno aperto al pubblico. A volte si tratta solo di un piccolo gabbiotto: infili la monetina, metti in posizione la bottiglia e fai il pieno di latte. A La Botanica l’acquisto si consuma in quello che potrebbe essere il salotto di un’antica casa di campagna, i formaggi sono impacchettati con mini spiegazione di origine, composizione e proprietà quasi fosse un regalo. Ed io che vengo affascinata da packging e comunicazione ben fatti, non resisto e faccio il pieno di pacchettini. Per i bebè ricotta, crescenza freschi e bocconcini fiordilatte (tutto formato sotto l’anno di età), per mamma e papà salva stagionato, carnaroli e salsa senapata alla zucca.



E il latte crudo? Esistono opinioni contrastanti: tutti concordano sul sapore, quello di una volta, denso, gustoso e pannoso (e infatti, se metti a riposo la bottiglia in frigo nel giro di qualche ora sulla superficie si trova qualche cucchiaio di panna), sul fatto che le mucche di oggi sono molto più controllate rispetto ad un tempo, che le aziende agricole che lo vendono devono aver superato una serie di controlli in più rispetto alle altre e dopotutto compri un alimento a km 0 e l’ambiente ringrazia.
Ho navigato tanto in rete per cercare di capire se effettivamente era un tipo di latte formato aliciotta, che per quello che mi riguarda l’avevo già sperimentato di tanto in tanto con grande piacere. (vedi ad esempio altroconsumo e bressanini).
Qualche rischio c’è: non è latte pastorizzato e proprio per questo mantiene tutta una serie di proprietà nutritive, vitamine e fermenti che l’altro non ha. Indubbiamente servono accorgimenti maggiori nel caso dei bambini (sotto i tre anni) o delle donne in gravidanza, ad esempio: la bollitura (che va detto uccide molte delle proprietà elencate sopra) e la conservazione in frigorifero per un paio di giorni e non di più.  
Conclusione: Alice l’ha assaggiato, ma bollito (che la bottiglia appena riempita per lei è stata un vero trofeo, quasi al pari della manciata di fieno lanciata a “muuuuu”).

Il latte vaccino, naturalmente, va introdotto dopo l’anno. Per Alice è stata l’iniziazione al biberon, che prima faceva solo da soprammobile in cucina.
Le quantità? Circa 180-200 ml, di cui due parti di latte e una di acqua (per i primi mesi dopo l’anno) con, nel suo caso, una correzione di yogurt (un paio di cucchiaini).
Un’idea questa del doc casalingo: secondo Mr B. dovrebbe aiutare con i suoi fermenti a far digerire meglio il tutto.
Il latte corretto all’inizio era un vero piacere per la sottoscritta: almeno 20 minuti di pace assoluta con l’aliciotta sul tappeto da gioco morbido, morbido e silenzio irreale. Poi i tempi sono andati diminuendo: al momento siamo a meno di cinque minuti, ¾ di latte, ¼ di acqua e un cucchiaino di yogurt. Latte, poco corretto:-).

Di vento, di mare e mal di terra


Oggi che sono di nuovo a casa (ed era anche tempo che ricominciassi a scrivere) già mi è venuto il mal di terra.
Pare che la mia passione per le isole  aumenti sempre di più nel corso degli anni. Sarà perché sanno di vento, di sabbia, di mare a vista d’occhio, del fumo bianco dei traghetti e nei casi in cui sono veramente isolette case e persone paiono stare in una manciata.

Niente ricette per oggi, solo appunti sparsi:-), a detta di Mr B. un po’ malinconici e mi sa poco utili per cucinare. Domani passerà.
Ci sono isole che ho visitato e ho amato e dove non sono mai tornata. Perché sono un’irrequieta di natura e il mondo mi pare troppo grande per vederlo in una vita. C’è però un’isola diversa dalle altre, un’isola che sono riuscita a vedere nel pieno della luce estiva e nel silenzio dell’inverno.
Per caso La Maddalena si è legata a noi, tanto che è diventata la nostra isola e con nostra intendo anche per Alice. Che dopotutto qui ci è stata nel pancione, per la sua prima uscita marina ad un mese e poco più e per la sua prima estate in mare con tanto di bagno tra Santa Maria e Budelli. Perché è facile essere presi dal mal di terra a La Maddalena, soprattutto se il maestrale smette di soffiare e il blu non è più solo blu.


Ed io che non amo ritornare, ho apprezzato qui la consolazione di rivedere immutati i luoghi, di scoprire come lo scorrere delle stagioni riesca a far nuovo ogni angolo e come il lento alternarsi dei traghetti dal terrazzo di casa abbia ogni volta la stessa cadenza.

 
Gli ultimi dieci giorni sono stati la mia fine estate: con una buona dose di gioia, malinconia e indugio sui mesi che hanno iniziato ad essere anni (il Mac alla fine ha fatto più da album dei ricordi che da ufficio ambulante).
Alice che l’anno passato era stata una coatta del marsupio scarrozzata lungo il corso e persino in quella tenuta per gli spostamenti in mare, questa volta ha sgambettato in velocità: che fatica starle dietro tra i viottoli e i palazzi ottocenteschi del centro, tra un castello di sabbia e un tuffo non proprio calibrato dietro a Mr B.

Per molti La Maddalena è una puntata di giornata dal pianeta (e sì perché lì trattasi di un altro pianeta) della Costa Smeralda o l’isola che doveva ospitare il G8 e non l’ha ospitato.
Ci sono luoghi qui che non si possono mancare: dalla spiaggia rosa (che tanto rosa causa troppi turisti non è più) alla casa Bianca dell’eroe dei due mondi al manto della Madonna tra Santa Maria e Budelli, e ci sono luoghi che scopri di volta in volta, di stagione in stagione.
E ti raccontano un’isola diversa ma sempre uguale. La Maddalena parrebbe fatta di poco: mare, vento (per lo più maestrale che ti può far ammattire anche per giorni e giorni), rocce granitiche arrotondate, dalle forme più improbabili che si tingono di un rosso rosato al tramonto, ginepro e mirto e pini marittimi, e poi un paese che non mi piacque per nulla la prima volta che lo intravidi dal traghetto e del quale invece ora mi sono innamorata. 

Perché l’isola ha legato per anni il suo destino alla marina (quella italiana con la sua base c’è ancora) e poco si è costruita, abbellita ed edificata per nostra grazia.
Dal traghetto, se vi capita di andarci, date un’occhiata: ci sono palazzi antichi, un po’ sgarrupati, dal fascino lento e dall’anima di paese in bianco e nero o al massimo seppiato. Se poi spingete lo sguardo più in là un porticciolo, quello di cala Gavetta.


Al porticciolo  mi sono divertita a venir di prima mattina con Aliciotta ad aspettare l’arrivo dei pescherecci. A quell’ora potete scegliere e decidere da chi acquistare il pesce fresco, fresco. Altrimenti svoltate verso il mercato comunale dove, oltre ai banchi ittici, potete acquistare frutta e verdura tutti i giorni dell’anno.

Io che di solito bandisco la carne appena arrivo al mare, qui accontento Mr B. e, per il piacere della chiacchierata (che sul far della sera si può trasformare in degustazione di salsiccia sarda e pecorino) mi spingo da Cristina, Ferdi e Peppe (non ricordo l’ordine, speriamo sia corretto:-).
Non manca mai l’assaggio di maialetto (che per essere in vacanza non devi far altro che ordinarlo e ritirarlo e, of course, gustartelo a casa), e poi quest’anno, complice Alice, ho persino scoperto il "parasangue" (lo so il nome proprio non promette bene, chiamasi altresì diaframma), debitamente tritato e appiattito ad hamburger per la pupetta che con la carne solitamente è sempre una guerra (e questo spiega la rarità delle ricette a base di carne nel cucchiaino). La sua particolarità?
A detta di del nostro macellaio un contenuto di ferro degno di Braccio (di ferro)
.


Per colpa del grecale (che ci faceva da questi parte devo ancora capirlo) a cala Coticcio questa volta ci siamo andati a piedi: la passeggiata ve la consiglio, ricordate però che ad un certo punto dovrete girare a sinistra e ci sarà non un cartello, non una roccia con segnaletica ma una freccia di rocce a dirvelo.
Pena perdersi in un labirinto per una buona mezz’ora come è accaduto a noi (e fortuna che l’Aliciotta dormiva). L’oretta di camminata merita la fatica per la spiaggia (lo so tutti dicono che è stupenda ed è vero) ma a mio parere soprattutto per le vedute che si godono dal sentiero. 
Così come è mozzafiato la vista dalla strada per arrivare sin qui: superate il passo del Ponte della Moneta, sfrecciate sul viale ombreggiato dai pini marittimi (qui rallentate verso sera che magari vi imbattete in una famiglia di cinghiali) e risalite verso il versante sinistro di Caprera. Da qui lo sguardo spazia su tutto l’arcipelago: Caprera, La Maddalena con testa del Polpo e poi in là Spargi e la Corsica. Spostatevi a La Maddalena e risalite la provinciale da Spalmatore per una ventina di chilometri: rovescerete il vostro panorama e ogni cosa sarà nuova eppure già vista. E nel caso facciate una fermata, a settembre armatevi di guanti e approfittate dei fichi d’india (quello che ci fatto col mio raccolto ve lo racconto domani).

Se invece siete graziati dai venti e siete di quelli a cui viene il mal di terra, potete spingervi nell’arcipelago e spingere la vista fino alle falesie di Bonifacio: noi non abbiamo mai mancato di farlo anche con l’Aliciotta nel pancione e ancora oggi mi chiedo se tanta vivacità non sia dovuta a qualche tuffo di troppo:-).

Tornando verso sera, lasciato il molo, indugiate in centro che qui la passeggiata sul corso è un rito così bello la sera. L’aperitivo poco milanese e molto maddalenino si consuma da Liò, dove chi arriva per primo conquista lo sgabello e capichera, cannonau e pesciolini fritti sono serviti sul davanzale con tende a scacchi rossi e bianchi. Per noi prima del rientro un’ultima tappa cui proprio non so resistere: i dolcetti a fichi e mirto di Abat Jour.

 Nel caso in cui ci arrivate d’inverno? Bè incrociate le dita per il vento, e se soffia, ma non troppo, puntate a baia Trinità come abbiamo fatto noi quasi due anni fa: l’Aliciotta formato un mese e un pezzo, infagottata nel piumino, si è bagnata giusto la punta del naso con l’acqua salmastra, mentre la sottoscritta non sapeva che il tempo a volte passa troppo in fretta. La mia fine estate col mare d’inverno sa proprio di sale, di vento e di una pupa che pare ormai una bambina:-).

P.S. Se volete saperne di più dell’arcipelago avete diverse possibilità. Siti tra i quali www.isolano.it (c’è veramente di tutto), libri come "Itinerari" di Presutti e Doneddu, Paolo Sorba Editore e "Arcipelago La Maddalena" di Folco Quilici e Luca Tamagnini, Editore Photoatlante; oppure incamminatevi per il centro e afidatevi a qualche maddalenino, come il signor Vincenzo incappato in Alice una sera d’estate.