Se è autunno chiedetelo all’estate.

E’ stato così che ho scoperto che se l’autunno inizia per l’appunto il 23 settembre è tutta colpa dell’estate. Le stagioni, spiega la geografia astronomica, hanno una durata diversa (e io che ero convinta durassero tutte allo stesso modo, beata ignoranza). Invece è proprio come i mesi: la conoscete quella canzoncina tormentone che tutti ne han 31 e solo quel poveraccio di febbraio ne ha 28 ( e a volte 29)? Bene mi chiedo perché non l’abbiano fatta anche per le stagioni visto che c’era la fregatura.

Quindi ieri era il primo giorno di autunno e io che sono ancora nella fase uva (passerà prima o poi) ci ho fatto il filetto di maiale.

 

Qualche giorno fa qualcuno mi ha detto che aveva cercato sul blog una serie di ricette verdura/frutta perché i suoi pupi proprio non ne volevano sapere dei suddetti. "E sai sul Cucchiaino, c’è grande abbondanza di ricette senza carne…". Bè sì, ho pensato, però qualche volta la carne pupa, pupone e la sottoscritta la mangiano:-). Ecco un esempio.

 

Partiamo dalla premessa. Personalmente non amo particolarmente la carne di maiale (e che non si era capito?:-)), e sarà per questo, sarà per l’"indole cucineresca" di solito, quando la faccio, cerco sempre di giocare al "camuffamento" (ebbene sì…). Ossia l’abbino a mele, prugne o albicocche secche, bacche di ginepro, un paio di chiodi (di garofano) e trito di erbe aromatiche. Il risultato? Bè, buono. 

Avevo l’uva, avevo un filetto di maiale intero (acquistato in una gita in montagna) e come orami sappiamo tutti, ma proprio tutti, è autunno.

Mi sono divertita a farci una specie di stufatino più per mamma&papà che per pupo bebè. 

Ho lavato l’uva, ho eliminato i semi, ho tagliato il filetto a piccoli pezzi, ho fatto rosolare in un cucchiaino d’olio in casseruola la carne con trito di erbe, un paio di bacche di ginepro e chiodo di garofano, mezzo cipollotto tagliato sottile, uno spicchietto d’aglio, ho aggiunto l’uva (nera e bianca), ho bagnato con brodo vegetale (o acqua tiepida) e cotto a fuoco lento per un’oretta. Ho giusto aggiunto un pizzico di sale.

Infine ho servito con una manciata di cous cous a testa.

 

Come detto questa è ricetta più da Cucchiaino di mamma&papà oppure per formato "duenne", basta tagliare a piccoli pezzettini la carne e non esagerare con le spezie.

Le dosi (per tre)? circa 400 gr di filetto di maiale, una ventina di acini di uva (fra nera, rosè se l’avete e bianca), bacche di ginepro, chiodi di garofano, mazzetto aromatico (rosmarino, salvia…), 1/2 cipollotto, 1 spicchio di aglio, un paio di cucchiaini di olio EVO, sale, circa 120 gr di cous cous bollito (come indicazioni sulla confezione).

piesse: ma lo sapete voi che ieri, in tutta la terra, il giorno ha avuto la stessa durata della notte? Ah, sì, bè, ciao, ciao:-)

 

 

 

Focaccia dolce all’uva: sa di autunno

 

Sa di autunno, basta fare un morso, affondare i denti, e perdersi. Deve essere calda, magari appena sfornata, con quel croccante proprio dell’essere focaccia, ma dolce, che proprio non te lo aspetti. Risultato? Provate a guardare le foto. 

Questa è Alice, ora 16.30, giusto rientrata dall’asilo. Direi passione al primo morso:-). Confesso che condivido. Non ho mai apprezzato le focacce dolci acquistate un paio di volte dal panettiere. Mi sono sempre parse un ibrido, poco, poco convincente. E invece questa all’uva l’ho trovata "a-d-o-r-a-b-i-l-e". 

Questo è il secondo esperimento con l’uva della cesta. In realtà niente di nuovo perché con la ricetta, di origini toscane, si sono cimentati parecchi. Bè, naturalmente, come mio solito ci ho messo qualche sperimentazione, con indubbio compiacimento: dopotutto la cucina è libera, democratica e se è creativa, ancor meglio. 

L’intenzione, quando l’ho fatta settimana scorsa presa dall’ebbrezza della "vendemmia", era di farne il piatto del 21, giusto per l’inizio dell’autunno (che per quanto ho scritto e magari avete inteso per me pareva già bello che arrivato). Poi ieri sono stata travolta da una serie di eventi.

Dall’aliciotta felice che per due giorni si è disperata (ma veramente disperata con grida e così via) all’arrivo all’asilo: direte, è normale, bellezza, bè la mamma si preoccupa, soprattutto se così non fu mai:-). 

Poi dalla chiacchierata fatta a Milano, ospiti di Prenatal, con Valentina di Design per Bambini, Sara di Smamma e Chiara di Machedavvero(ho letto in poche ore il suo libro "Quello che le mamma non dicono", e devo dire che da parecchio non mi facevo così tante risate, riconoscendomi, stando seduta in poltrona) e Chris Wilson (sempre di Prenatal).
Personalmente mi sono divertita parecchio,  per una volta ho parlato poco, poco o quasi (che ero lì a moderare:-)) e ho soprattutto scoperto delle persone reali, interessanti e con molte cose da dire. 

Ad un anno e poco più dalla messa on line del Cucchiaino, sono stata felice di aver più volte cambiato strada (almeno nel lavoro) perché tante cose non sarebbero altrimenti state:-).

 

La ricetta. Io ci ho fatto giusto due divagazioni: i semi di anice e l’uva schierata di tutte le fogge (dovevo pur terminare la mia cesta, no?).

Ingredienti

500 gr di farina manitoba

12 gr di lievito di birra

120 gr di zucchero di canna

600 gr di uva (fragola, bianca, nera…)

olio EVO

semi di anice

 

Procedimento

Sciogliete il lievito di birra in poca acqua tiepida con un cucchiaino di zucchero. Lasciate risposare per qualche minuto (il lievito schiumerà e crescerà). Unite il lievito alla farina con 2/3 dello zucchero, aggiungete un cucchiaio di olio e impastate aggiungendo acqua quanto basta per ottenere un impasto morbido ma compatto (se usate il robot sarà pronto quando un’unica massa di attorciglierà al gancio). Prendete la palla, mettetela in un panno umido o ancor meglio in una ciotola e lasciate lievitare in un luogo caldo (ad esempio il forno a 35°) per un paio d’ore. Riprendete l’impasto, dividetelo in due parti e stendetelo su carta da forno: prima una parte, coprite con l’uva (togliete se possibile i semini), qualche seme di anice e spolverate con lo zucchero di canna. Ora stendete l’altra parte dell’impasto e sovrapponetelo sopra, ripiegando i bordi per unirli e chiudere.  Condite la parte sopra con olio, uva, zucchero e semi di anice. Posizionate in forno a lievitare per un’altra mezz’ora. Quindi cuocete a 210° per venti minuti circa. 

 

Il sugo di uva fragola

Quando ci ho affondato il Cucchiaino mi sono ritrovata bambina, mi è parso di sentire forte il sapore di quelle corse, di quella felicità di sporcarsi e ritrovarsi chiazzati, mani, lingua e naso. E poi ho sentito l’autunno (lo so, l’ho già detto, manca ancora qualche giorno) intenso come il profumo dell’uva fragola. 

Ed è strano, molto strano, perché di solito mi porto l’estate dietro, quasi che tenendola stretta possa farla durare di più. E quest’anno è stato tutto il contrario. Saranno state le nuvole dell’estate, sarà stata l’uva, sarà che ho passato un paio di giorni a lavorare sul Natale, sfornando biscotti e scrivendo di Santa Klaus e dintorni. Bè per me è già autunno e poco ci manca che senta pure le sante feste vicine (e di queste nei prossimi giorni mi devo assssolutamenteee disintossicare che non è cosa buona:-)). 

 

Ho aspettato un anno, un intero anno di cimentarmi col sugo di uva fragola. L’idea mi è stata messa in testa da una di voi (Elisabetta, mi riferisco proprio a te) che me ne ha parlato nei commenti più di una volta. E devo dire che mi era venuta una gran curiosità. 

Se penso budino  non è che abbia ricordi di "alta cucina", certo penso alla mia infanzia che mia madre (bravissima in tante cose ma non in cucina:-)) di preparazioni pomeridiane in bustina non me ne ha mai fatte mancare (se legge, mi spara!). E i budini parevano perseguitarmi: pomeriggi di studio dalle amiche, e la mamma di casa che propinava? Bè budino. 

 

Bene, cancellate tutto e fate rewind sul budino di uva fragola: è un’altra cosa. C’è l’infanzia dentro, ma quella che sa di pergolati, campagna e lingua colorata da mostrare (e su questo confesso di aver ingaggiato gara con la pupa al suo rientro dall’asilo con riprovazione di Mr B.).

Dunque questa è la prima delle ricette dove ho utilizzato il mosto "stellare" e di quella la preparazione ve la andate a vedere qui.

Per la preparazione del budino mi sono affidata alla ricetta che mi aveva segnalato Elisabetta, anche se ammetto che non ho resistito e un paio di modifiche le ho fatte.

Durante la cottura dell’uva non ho resistito e ci ho aggiunto una piccola stecca di vaniglia, mentre ho preferito sostituire alla farina la maizena (che mi pare più neutra come sapore finale).

Il bello della ricetta? Facile da fare, bè ci vuole un po’ di tempo a sgranare gli acini e poi schiacciare ma se vi ci mettete con un pupo vi assicuro passa più in fretta.

Il formato? Dall’anno in su è perfetto per la merenda di metà pomeriggio e non solo:-).

 

Ingredienti

400 ml di mosto di uva fragola

2-3 cucchiai di maizena 

1 cucchiaino di zucchero di canna

 

Procedimento

Mettete il mosto in una pentola e stemperate la maizena, aggiungete il cucchiaino di zucchero di canna. Fate scaldare a fuoco dolce fino a bollore. Lasciate raffreddare e poi riempite delle ciotole o stampini. A riposo per qualche ora e poi via col cucchiaino:-)

 

L’uva a settembre

Quando l’altra settimana, ancora in viaggio per un weekend di quelli che durano troppo poco, mi è stato annunciato il suo arrivo poco ci mancava  che mi prendesse un colpo. Perché di mettermi a fotografare quelle cinque o sei varietà di uva in rotta di cuffia proprio non mi garbava.  Aggiungeteci il vento e la pioggia (siamo dalle mie parti, vedi valpadana, una settimana fa) e soprattutto un caricatore di macchina che dopo affannosa ricerca ho scoperto dimenticato sull’isola. E’ bastato sentire il profumo di quel cesto di uve di vigneto (bè nel senso che erano state recuperate dalle parti di Treviso da chi con quelle di solito ci fa il vino) per cambiare idea.  

Ho sentito l’uva fragola, l’Isabella, nera e poi quella bianca e completamente conquistata ho capito che ero pronta all’autunno. 
Lo so, direte, mica è il 21, eppure oggi mi ha preso quella mia malinconia di fine estate, che sa di luce tiepida, profumo di marmellata e suoni che si fanno più lievi. Da ragazzina sentivo questo passaggio di stagione in maniera più forte di qualsiasi altro.

Non era solo la tristezza del fine vacanze, o la corsa ai compiti che dovevo terminare (sempre in ritardo, sempre nella mia vita) o tutti quei "farò e sarò" che ancora oggi metto in fila, ma erano quelle pedalate pomeridiane dove avvertivo l’aria, la luce e i profumi tutti mutati e non vedevo l’ora di cominciare a calpestare le foglie secche e raccoglierle tra le pagine del prossimo libro. 

 

Ho fotografato e fotografato e fotografato un sacco di uva  (come da richiesta del gentil donatore di cesta) nella bora che tirava sul mio terrazzo (e non sono di Trieste).
Qualche acino, sparso senza ordine in cerchio, si è pure divertito a creare colli alla Modigliani (grazie alla matita di Miss Cia).

Quindi nell’ebbrezza ho aperto la "vendemmia":-).


Bè proprio tale non la definirei, giusto una "pigiatura" e cucina monotematica. 

La cosa divertente? La pupa, senza dubbio. Tornata dai primi giorni di asilo, è stata totalmente coinvolta nel progetto e da buona manovalanza ha fatto entusiasta. E confesso che senza di lei a sgranare e poi schiacciare tutta quell’uva sarebbe stato un gran pacco, ma così tutto è cambiato.

E se l’anno passato l’uva era "quella che rimane", quest’anno ha il sapore del mosto, mio e di Alice.

Formato? 10-12 mesi.

Perché fare il mosto con un pupo? Fatelo e capirete. E poi iniziate a contare le stelle.

piesse: caso mai qualcuno non l’avesse inteso ci saranno giusto quelle quattro, cinque ricette a base di uva.

 

Ingredienti

1 chilo di uva fragola

1 pezzetto di stecca di vaniglia

Procedimento

Lavate e sgranate i chicchi d’uva. Metteteli in una pentola con la stecca di vaniglia. Cuocete a fuoco basso fino a quando gli acini si sfalderanno. Nel caso aggiungete un paio di cucchiai di acqua. Prendete un colino abbastanza ampio (o un passaverdura) e schiacciate l’uva ricavando il succo. Lasciate riposare qualche ora e poi fatene l’uso che preferite (tornate a trovarci se non avete alcuna idea:-)).

Di tortilla, Sandokan e incontri

Una delle cose che amo dell’isola sono quei traghetti che vanno e vengono.

Per lo più non si incotrano. Ma a  volte sì. E quando succede hai da una parte quelli che vanno e dall’altra quelli che arrivano. E quando tu stesso sei andato e venuto un po’ di volte, ma non così tante, immagini cosa sente chi va e cosa chi viene. E’ un incontro, dura giusto qualche attimo ma personalmente mi affascina. Proprio come le mani della pupa tra quelle della nonna ma soprattutto di mia madre. E’ stata una manciata di giorni strana, con la sottoscritta armata di mille propositi di lavorare e la mente oltremodo distratta: troppo mare, troppo vento, troppi progetti da rincorrere senza risposta, Mr B. a lavorare per davvero e una lunga estate che mi pare iniziata per lo più nella forma. Per questo ho apprezzato la tortilla, quella fatta di pochi ingredienti, assemblata velocemente e che mia madre ha decretato bassa, bassa portandomi a casa una confezione da quattro, dico quattro uova. 

Per il resto oltre ai traghetti che si incrociano, ho apprezzato il mare da lontano, le chiacchiere dei pescatori di mattina e l’abbandono di reti e barche nella luce rossastra del tramonto. E poi i palazzi, che a vederli la prima volta ti paiono brutti e poi ci passi e ripassi e apprezzi quell’aria di inizio secolo (lo scorso, naturalmente) con le scritte dei negozi anacronistiche.
E’ stato un po’ come se questi pochi giorni si concentrassero tutti in queste sensazioni, incontri e anni che non ci sono più.
 
Ci si sono messe persino le pagine del Corsaro Nero e Bettina, ritrovati con la pupa fra gli scaffali della biblioteca, a spedirmi indietro e indietro (bè agli anni di mia madre, mica i miei, intendiamoci).
Personalmente ho ritrovato un cult della mia infanzia (televisivo), a dondolarsi in punta d’acqua, più pesce che tigre (ai tempi, avrò avuto cinque o sei anni, adoravo la sigla di Sandokan e ci ho preso gusto a ricantarla con la pupa).
 
Dimenticavo la tortilla. La lista della spesa, come detto, deve essere stata di quelle non proprio precise, tanto che mia madre (poco amante della cucina) se ne è tornata con poche patate, poche uova e una manciata di fagiolini. Il divertente è che quando sul Mac le ho mostrato una foto di tortilla, ha esclamato: “Ma è una torta, alta, alta, tu mi avevi fatto intendere una sorta di frittata”. Va bè, diciamo che l’abc della cucina spagnola non è il suo forte.
In compenso l’aliciotta (che un futuro in cucina ce l’ha:-))) ha diretto, mamma&mamma hanno sbattutto e io ho leggermente cambiato i canoni di una delle mie tapas preferite.
Questa tortilla è una delle cose che ultimamente ho mangiato con più nostalgia…
Tenete conto che io ho cotto al vapore patate e fagiolini per non esagerare con l’effetto fritto della ricetta originale (vedi presenza pupi), successivamente ho giusto rosolato cipollotto e patate a cubetti (non se ne può fare del tutto a meno, no?) e ho lasciato ai fagiolini il compito di sgenare le fette (visto che assomigliava più ad una frittata che ad una tortilla da tagliare a cubotti). 
 
La tortilla è formato 18-24 mesi, se non rosolate e limitate all’essenziale la cipolla potete pure abbassare a 12-18. Ricordate che se volete una tortilla alta, alta dovete caricare di patate e uova.
 
piesse: of course, il servizio (piatti, tovaglietta e bicchierini) è stato gentilmente messo a disposizione dalla nonna dell’aliciotta (mi scuso per aver rotto, causa vento e piatto posato sul cornicione del terrazzo, un pezzo:-))

 

 

Ingredienti (per tre, pensandola alta!)

6 uova

3 patate medie

una manciata di fagiolini boby

cipollotto

olio d’oliva

(timo)

poco sale

 

Procedimento

Io ho cotto al vapore (giusto 7-8 minuti) le patate pelate e tagliate a cubotti e i fagiolini. Quindi ho affettato il cipollotto e l’ho rosolato con le patate in olio d’oliva (circa un paio di cucchiai) in una padella antiaderente. Abbiamo sbattuto le uova con un pizzico di sale e del timo fresco e le ho aggiunte in padella. Ho aggiunto i fagiolini in maniera da segnalare le future fette. Eventualmente potete passare anche la tortilla in forno nel momento in cui aggiungete le uova e cuocerla a 175° per 15 minuti.

 

Frushi anche tu?

Oggi è una di quelle giornate che passerei a divagare, ossia? Bè pensare a tutto e niente, fare tutto e niente, buttare all’aria, in alto, mille progetti e poi passare da una nuvola all’altra. Complice è l’amaca, quella che ho trovato sull’isola ad aspettarmi, strisce bianche, blu e azzurre che la pupa soavemente apostrofa come la “umaca”. Il gioco del dondolio ha occupato una buona mezz’ora e l’aliciotta ormai dorme come fosse in Messico o giù di lì:-). Chissà perché il dondolio mi ha rimandato un po’ all’arrotolamento di un paio di settimane fa, quando in vena i “pasticciamenti” mi sono data al fru,fru, frushi. 

Anche qui una divagazione, molto, molto lontana parente della cucina giapponese, considerando che assomiglia, poco, poco, al sushi e che pure quest’ultimo è poi giusto una virgola del capitolo “come si cucina nel Sol Levante” (a questo proposito leggetevi qualche appunto sparso del Cavoletto:-)). 

L’idea mi è venuta perché faceva molto, molto caldooo (che qualche blogger appassionato di food si è dimenticato di ricordarlo?:-) e volevo fare un dolce ridotto all’essenziale. Ossia frutta, ancora frutta e giusto il tempo di bollire il riso.
E qui apro parentesi: ho letto che ci vogliono mesi per imparare a cucinare in maniera perfetta solo il riso che va nel sushi, personalmente ci credo e ammetto che avrei bisogno di ripetizioni (della serie nodo al fazzoletto e in autunno mi ci iscrivo a un corso serio di cucina giapponese, ma autentica). Oppure di un ricecooking japp (e su questo prego quell’amico di Mr B. che se ne sta a Tokio di portarne uno in dono alla sottoscritta o di invitarci a comprarlo sul posto:-)). 
La faccenda si è complicata perché non ho quei simpatici tappettini “fai sushi facile” e mi sono trovata ad arrotolare munita di tovaglietta di pupi rigida e pellicola. 
I primi erano parecchio brutti a vedersi, poi rotola e arrotola gli ultimi erano quantomeno presentabili per i posteri (e ammetto no ho resistito allo stereotipo del piatto black e della bacchetta). 
Risultato? A voi l’ardua sentenza:-).
 
Che cosa ho amato del frushi? Allora la prima volta che l’ho sentito nominare mi ha giusto colpito il nome (da storpiare e ristorpiare:-)) ma mi è sembrata l’ennesima moda a stelle e strisce da bar sulla spiaggia.
 
In realtà è divertente da mangiare (almeno se ci fate due o tre intingoli in cui affondare il rotolino) e poi una genialata per i pupi. Vi dà l’occasione di cambiare, assemblare riso (cotto dolcemente come fosse un risolatte) e tanta, tantissima frutta. E alla mano del pupo di tuffare  rituffare e sgranellare chicco a chicco. 
piesse: io ho cotto il riso con vaniglia, acqua, un paio di cucchiai di latte (di riso) e giusto un cucchiaino di sambuco. Naturally potete variare, ad esempio con latte di cocco o mandorla.

Ingredienti (per una quindicina di rotolini)

250 gr di riso per sushi
vaniglia (ho usato quella in polvere)
due cucchiai di latte di riso
un goccio di sambuco
mirtilli
lamponi
fragole
strisce di melone e pesca gialla
yogurt naturale
30 gr di zucchero di canna
succo di limone
sciroppo d’acero
 

Procedimento

Sciacquare e cuocere portando a bollore il riso in acqua, zucchero, latte di riso, un cucchiaino scarso di vaniglia in polvere e un goccio di sambuco. Il liquido si dovrà consumare (fate attenzione però a non far attaccare il tutto!). A questo punto fate raffreddare. Nel frattempo preparate una coulisse: schiacciate buona parte dei lamponi e metteteli in un pentolino con un cucchiaino di zucchero e succo di limone. Riscaldate per qualche minuto poi passate la salsina al colino e mettete in una ciotolina. In un’altra ciotola riempite invece con lo yogurt, scorza grattuggiata di limone e un cucchiaino di sciroppo d’acero. Ora il riso. Stendetelo su una tovaglietta da sushi o una improvvisata (come ho fatto io) con della pellicola. Bagnate le mani con acqua fredda (così non si attacca il riso). All’interno dello strato di riso posizionate mirtilli, fettine di fragola o pesca (volendo potete stendere anche parte della salsina di lamponi). Ora arrotolate e tagliate i rotolini. Potete rivestirli all’esterno con melone giallo tagliato sottile, sottile. Lasciate riposare un’oretta in frigo  e poi servite con le salsine. Consiglio: evitate le bacchette per i pupi, meglio la mano libera:-).