Crema di carote e spaghetti Asian style

Ormai manca una manciata di giorni e solo a pensarci mi pare quasi impossibile, non fosse per ‘sta panza, poco virtuale, che assomiglia a un siluro o una finta anguria, di quelle grosse, quasi messa lì. Ognuno, ovvio, dice la sua, c’è chi continua a insistere sull’impossibilità che sia femmina. E’ una "panza da masculo", come se la forma denotasse il sesso. Bò, qui siamo sicuri e speriamo che la signorina sia solo una di quelle abbastanza puntuali, che non si lasciano attendere per giorni e giorni. Leggende a parte, la sottoscritta, uscita dal tunnel raffreddore, beneficia dell’aria "so di primavera" e vanta energie che non sospettava di avere. Oltre a una voglia di spezie e spezie, e cibo etnico o che abbia la prerogativa di ricordare mondi poco vicini. Sarà che il trolley è fermo al chiodo e qui il viaggio si fa giusto in cucina.

E’ nata così questa crema che avrebbe potuto beneficiare di una nota Asian più accentuata se il mio coriandolo non avesse deciso di stramazzare definitivamente e abbandonarmi prima dell’arrivo di nuove forze. Beh, comunque sfiziosa è sfiziosa, con quegli spaghetti di soia, simili a nidi, fritti (sì definitivamente fritti) in olio bollente, croccanti e morbidi dentro e intingolati nella crema al profumo di zenzero fresco, decorata con una noce di latte di cocco.

Niente comfort food, ma colore, colore, e ancora colore e profumi per andare lontani, non fosse altro se non in punta di bacchetta.

Ovvio, per chi ha necessità, la crema può essere sdoppiata e diligentemente diventare una vellutata cremosa, a base di carote, poco succo di arancia e una patata, per il bebè. 

La ricetta? Di quelle veloci ma d’effetto, grazie al tocco degli spaghetti di soia, insaporiti con salsa di soia, mirin, zenzero, cipollotto e capaci di nascondere, simil ostriche, delle piccole favette all’interno.

Per tre: 500 g di carote bio, succo di un’arancia, zenzero fresco, cipollotto, olio evo, latte di cocco, 3 nidi di spaghetti di soia, 1 cucchiaio abbondante di salsa di soia, 1 cucchiaino di mirin, fave, olio di sesamo o girasole per friggere, sale, coriandolo (se lo avete, io ho usato timo limonato, nulla a che vedere con il primo, ma a me piace e questo avevo)

 

Fate appassire il cipollotto a fettine sottili in olio evo, aggiungete le carote a pezzi e rabboccate con acqua tiepida. Portate a cottura, aggiungete il succo di un’arancia, abbondante zenzero grattugiato, frullate e aggiustate di sale. 

Nel frattempo mettete a bagno gli spaghetti di soia in poca acqua per 5-10 minuti. Scolate, conditeli con la salsa di soia, il mirin, del cipollotto a fettine sottilissime, ancra dello zenzero, formate dei piccoli nidi e infilate all’interno delle fave. Friggete in olio bollente, per pochi minuti, girando prima da un lato e poi dall’altro. Servite la crema di carota con una noce di latte di cocco, foglioline di coriandolo (o timo limonato, come la sottoscritta) e i nidi belli croccanti da intingolare. Yummi!

Di quella pera d’acqua che galleggia

Non sono scomparsa in questa lunga settimana, semplicemente sono caduta preda del peggiore raffreddore mai avuto. O meglio credo sia il peggiore dato che le uniche armi a disposizione per combatterlo sono fumi a base di eucalipto e acqua termale (utile, sì, ma qui a casa mi dicono oltremodo puzzolente…). 

Domenica presa dalla sconforto, col naso che proprio non sentiva nulla di nulla, e giorni in cui in cucina ho fatto poco, mi sono alzata prima di Lui e la pupa. Volevo preparare una torta, una sorta di comfort food per me e coccola per loro, che stanno sopportando il mio cattivo umore da influenza combinata a pancia (a proposito oggi meno un mese!). Svegliarsi col profumino di dolce caldo, caldo e fetta di torta per la colazione della domenica sono convinta sia un enorme piacere. Ecco, tutto.

E quindi? Ho preparato una torta dall’impasto bello morbido e la copertura come fosse una tarte tatin utilizzando il nashi (incrocio fra mela-pera di origine cinese) affettato sottilmente con la mandolina giapponese e aromatizzato con zucchero e cannella. Il sorriso e "il mamma che profumo!" di Alice arrivata in cucina in pigiama e orsetto d’ordinanza sono stati il miglior regalo della gironata.
Il successo però non è stato fotografato (ammetto voglia zero, zero, considerando che dopo aver fatto la torta ero già ko, ed erano solo le 10:-)) ed è stato spazzato via, soprattutto da Alice, in un paio di giorni. Beh, prometto di rifarlo presto e postare foto+ricetta come Cucchiaino comanda.

 

Dato però che il nashi  ci è piaciuto assai, e ne avevo ancora uno a casa, è nata una sceonda versione, ancora più veloce e da consumare al cucchiaino in questi giorni di neve e freddo.

L’idea è un po’ quella delle meline che affondano, con un impasto però più cremoso e cioccolatoso e il nashi usato per metà.

La ricetta (ovviamente adatta a pupi dai 24 mesi in poi e genitori al seguito).

Ingredienti (per 3-4 tortine)

2 nashi (o pera se non a disposizione)

2 uova

20 g di farina e 20 g di amido di mais

60 g di cacao amaro

100 ml di latte 

50 g di cioccolato fondente sciolto con una noce di burro a bagnomaria

50 g di zucchero

Procedimento

Sbattete i tuorli con lo zucchero, montate a parte gli albumi. Aggiungete ai tuorli il latte e il cioccolato fuso, quindi delicatamente gli albumi. Stemperate insieme cacao e farine e unitele al composto liquido. Prendete delle mini terrine da forno leggermente imburrate e riempite con l’impasto per una buona metà, posizionate al centro metà nashi (o pera). Cuocete in forno a 175° per una ventina di minuti. Servite caldo!

 

Il profumo della tajine

"In the mood for…" (vi ricordate il film?). Credo potrebbe diventare una delle caratteristiche della sottoscritta con panza. E, sarà che è la seconda volta che mi capita, la cosa straordinaria è che il mio umore pare proprio richiedere quello di cui il mio fisico ha bisogno. Questo aspetto mi sta affascinando sempre più, sarà che emerge a mano a mano che leggo e mi informo sull’alimentazione in gravidanza, scoprendo, incredula, che quello di cui ho voglia è ciò che va bene a me e alla pupetta che scalcia imperterrita.
Ho detto della passione sfrenata per gli agrumi che, beh già esisteva, ma mai aveva raggiunto queste vette. Di quella per tutto ciò che è fresco e leggero: finocchi, sedano rapa, lattuga, soprattutto del tipo iceberg, carote. E della fissa di mangiucchiare noci (contengono acidi grassi Omega 3) e mettere a bagno legumi. E poi c’è il desiderio di etnico che ieri aveva il profumo di tajine.

Ecco l’etnico, ma più ancora la voglia di spezie e profumi di mondi lontani. Mi ha investito mentre ero in coda, di ritorno dal lavoro, qualche settimana fa. Immaginate. All’improvviso, all’incirca all’altezza dell’imbocco della Milano-Venezia, ho pensato che quella sera avrei "assolutisssssimamente" voluto cenare all’indiano. Sentivo il sapore del cumino, la fragranza della pita. Lo so, pare da matti, ma ho la scusa, no?

Chiaramente quella sera non abbiamo cenato all’indiana, anche perché avendo meno di un’ora a disposizione per e nessun ingrediente sotto il naso era pressoché impossibile. E più prosaicamente ho finito per cucinare una zuppa calda (la mia aromatizzata, ca va sans dire:-)), e prenotare una cena per la settimana  successiva, con amici, in un ristorante libanese (per la cronaca qui, e ve lo consiglio).

Però non ero ancora soddisfatta e recuperati gli ingredienti, fra i quali una miscela di spezie (nome corretto ras el hanout) durante il weekend di dicembre a Parigi, ho preparato una tajine. Non era la prima volta, però in passato mi ero cimentata con il pesce e le sole verdure. Questa volta, invece, ho deciso di seguire un po’ di più la tradizione e ho usato carne, non di agnello che come lo volevo non l’ho trovato, ma di pollo. E l’ho accompagnata con cous cous aromatizzato al cumino.

 

Ho deciso per un gusto lievemente agrodolce, unendo a carote, porri, patate, aglio e cipollotto, della frutta disidratata, avanzata dal periodo natalizio: datteri e albicocche (anche questi ottimi per la gravidanza:-)). Infine ho profumato con due foglioline di coriandolo fresco, ultima piantina un po’ striminzita, rimasta dall’estate e tenuta diligentemente sul davanzale per averne piccole dosi al momento giusto.

Per la preparazione, non avendo a disposizione la tipica pentola da tajine (che mi piace però da pazzi:-)), ho usato una casseruola che poteva finire in forno debitamente coperta a fare il suo dovere.

Ne è uscito un piatto che profumava di mondi lontani, proprio nel mio mood di oggi:-)

Ovvio, la ricetta si presta anche per i più piccoli, dai 3 anni in su, limitando l’uso delle spezie più forti.

Ingredienti (per 3-4)
500 g circa di pollo a cubetti
2 carote
1 patata
1 porro piccolo
1 cipollotto
1 spicchio di aglio
una manciata di albicocche e datteri secchi
1 cucchiaino abbondante di mix di spezie (o ras el hanout), contenente alcune o tutte queste spezie: cannella, zenzero, cumino, chiodi di garofano, curcuma, peperoncino dolce, cardamomo…
coriandolo fresco

1 cucchiaino di miele
sale, olio d’oliva

cous cous per accompagnare
brodo vegetale o acqua tiepida

 

Procedimento
Lavate le verdure, pelate la patata e raschiate le carote. Affettate sottilmente il porro e il cipollotto, lasciate imboindire nella casseruola con due cucchiai di olio, aggiungete il pollo e il miele e fate dorare per qualche minuto, prima di unire le verdure a tocchetti e la frutta secca. Aromatizzate con le spezie e aggiustate di sale. Bagnate con brodo vegetale, due o tre mestoli,  coprite col coperchio e finite la cottura in forno a 180° per 25 minuti. Il brodo dovrà consumarsi senza però che la carne si attacchi, nell’eventualità unite un altro mestolo.

Servite con del coriandolo fresco sminuzzato e cous cous al cumino.  

 

 

L’autunno in un vasetto: “mahlabia alla pera”, ovvero budino di riso

Da due giorni, su richiesta della pupa, il tragitto verso l’asilo viene fatto sulle note di Jingle Bells and White Christmas (versione Diana Krall, ebbene sì). 

Il mio cervello, colpa di ricette, parole messe insieme per altri e un paio di corsi di cucina su biscotti&albero di Natale per bambini, è completamente proiettato a dicembre. Ed è così credo ormai da dieci giorni, se escludo la sensazione spaesata di infornare dolci&co natalizi a settembre (vedete qui). 

Bene, non mi piace. Perché sono di quelli che adorano il Natale, la magia dell’inverno e il total white, ma al momento giusto. Della serie aspettiamo il primo dicembre per vestirci a festa.

Oggi voglio dire che dopotutto è ancora autunno.

Lo so, è quell’autunno ormai quasi finito: lo vedi dagli alberi poco vestiti, dalle foglie secche tendenti al marrone e poco multicolor e dall’aria che "frizza", come fosse già inverno. Però è autunno. L’ho ripetuto ad Alice, che domanda e ridomanda delle stagioni, facendone una matassa improvvisata, con dei prima e quando improbabili.
Presa da questo pensiero, ho deciso di mettere l’autunno in un vasetto, che profuma d’Oriente e di sapori fruttati di stagione.

Nella vita di solito non amo i "se" e i "ma", nelle storie sì. I "Se" aprono un’infinita serie di possibilità, non di rimorsi o recriminazioni.  sa di poesia e parole che possiamo unire, una dopo l’altra, in un’atmosfera incantata.

Come nel caso del "Se una mattina d’inverno" o come in questo "Se d’autunno…". Per noi, me e Alice, è diventata la storia da raccontare questo pomeriggio, cucchiaino dopo cucchiaino, per arrivare fino a giovedì, quando schierato il calendario dell’avvento coi suoi biscotti (più tardi si impasta!) cominceremo a contare i giorni verso il 25.

 

La ricetta. Il "mahalabia" è di origine egiziana, o comunque mediorientale, nella preparazione originale c’è anche essenza di rosa. Io ho modificato unendo dei semi di vaniglia e un cucchiaino di farina di mandorle. E ho poi passato semplicemente delle pere Williams con una goccia di limone.

 

Perfetta per gli intolleranti al glutine!

 

Ingredienti (per tre vasetti)

1 tazza di latte vaccino (o di riso)

1 cucchiaio abbondante di farina di riso

2 cucchiai scarsi di zucchero

1 cucchiaio di farina di mandorle

stecca di vaniglia

2 pere Williams

succo di limone

 

Procedimento

Superfacile. Stemperate la farina con lo zucchero, aggiungete qualche cucchiaio di latte e mescolate con la frusta, evitando i grumi. Unite il resto di farina e zucchero, farina di mandorle e mescolate, finite con il resto del latte e ponete sul fuoco basso. Continuate a mescolare, fino a quando si addensa, quindi unite i semi di mezza stecca di vaniglia e girate. Passate in vasetti rimpiendo per due terzi e lasciate riposare per un’oretta almeno. Frullate un paio di pere, lavate e sbucciate, con un cucchiaino di succo di limone.  Aggiungete al budino di riso e servite. 

 

La galette, pas complète…

Sì, sono di quelle organizzate (o almeno qualcuno mi descrive così:-)), che ha sempre ricordato ogni cosa a memoria, pur appuntandosela sulla Moleskine del momento (tempo ante pupa), che poteva passare da un progetto all’altro e dare l’impressine di farcela senza troppa fatica, decisa, beh, sì, e convinta sull’obiettivo. Sono anche quella che rimane sul treno non perché ignori la fermata ma semplicemente perché troppo presa dalla lettura, sono quella che è stata capace di presentarsi alle 5 di mattina senza passaporto prima di un viaggio di lavoro importante e organizzato nei particolari (uhm, sono partita grazie a Lui che ha fatto to&back a una velocità su cui è meglio soprassedere), e sono quella che a volte dice sì ma è su Marte. 

Prendete questa personcina, shackerate, mettete insieme circa 600 foto scattate con diligenza e maniacalità, una sera tarda, tanta stanchezza, il pensiero su almeno un paio di altre questioni e un Mac che nell’ultimo periodo imita la sua padrona. Bene, ora capirete perché vi racconto di un viaggio in Normandia e Bretagna con una manciata di poche foto. 

Il mio dito, per nulla collegato alla parte corretta del cervello, leggero e sbarazzino ha schiacciato elimina (esempio di autodistruzione da oca del villaggio) e via tilt del Mac e foto bye-bye (eccetto poche sopravvissute degli ultimi due giorni).  Poi ho pianto, o quasi.
Niente ninfee immortalate in ogni possibile angolatura (credetemi bellissimo il giardino di Moneta Giverny e simpatica la giapponese che ci ha voluto fotografare, ovviamente con la mia reflex), niente Honfleur o Saint Malo, e nessun ricordo di quell’andare sotto la pioggia (bardati con superimpermeabili) per le vie del Mont Saint Michel su fino e dentro all’abbazia, noi e pochi altri a sera tarda (ecco, se capitate da quelle parti scegliete la sera per addentrarvi, spettacolare e tenetevi lontani dalla pazza folla del giorno). Nemmeno un’immagine a dimostrare che sì, lì piove, piove, raggio di sole, e ripiove, piove e pioviggina, ma che ti può capitare di finire in un paese che condivide il nome con un formaggio (oui, le Camembert). E poi le secche che lasciano le barche in precario equilibrio mentre tu cerchi di in
dovinare cosa si nasconda in quel miscuglio di terra e sabbia. E la pupa, deliziosa con in testa le righe bianche e blu, caratteristiche dei tessuti di queste parti.

Bene, inutile dire senza mostrare:-). Vi lascio giusto l’impressione dei paesaggi di luce,vento e mare di quella parte della Francia dove tanti paesini paiono usciti dalle pagine di una Madame Bovary o da un racconto di fari, naufragi e tempeste.

 

E la cucina? Personalmente un pochetto pesantuccia negli assemblaggi, ma deliziosa negli elementi base, della serie a volte meglio una galette e sidro (proprio come un vero bretone!), piuttosto che cozze, far breton o baguette con camembert ( o livarot, il preferito di Alice!) che affrontare più portate pensando di sopravvivere:-). 

Tornata a casa, vi ho già detto dei financiers, ma c’è stata anche la gallette, una crepe a base di farina di grano saraceno, completata con quello che più aggrada, benchè la tradizione raccomandi per “une galette complète prosciutto, formaggio e uovo al tegamino nel bel mezzo. 

 

Solitamente viene ripiegata ricavando così quattro lati e creando l’effetto sorpresa per il ripieno interno (almeno per Alice).
All’inizio non ne sono rimasta granché entusiasta, ma era dovuto al fatto che non era preparata a regola d’arte. A Dinan, dall’atmosfera intensamente medioevale con le tipiche case a graticcio, ce ne siamo innamorati in uno di quei locali che offrono solo ed esclusivamente galette e sidro, servito nelle scodelle basse bianche con bordatura rossa. 

Ecco la ricetta. Danno il meglio in versione salata, in quella dolce meglio le classiche crepes. La ripiegatura le trasforma in bauletti dei segreti o di caccia al tesoro o annua sa e indovina, perfetti per incuriosire la pupa:-).
La nostra versione non è “complète”, considerato che ho eliminato l’uovo e inserito all’interno gli ultimi pomodorini di stagione dell’orto dei nonni. 

piesse. Comunicazione di servizio:-). Se avete voglia dire la vostra su quel passeggino troppo pesante, su quel libro che ha risolto la nanna del vostro pupo o sul vostro/i blog preferiti (uhm, uno a caso? Il Cucchiaino… va beh, va beh…) fatevi un giro su Mums up!

 

Ingredienti

200 g di farina di grano saraceno fine

1 uovo 
50 ml di acqua fredda
sale

prosciutto, formaggio (emmental o camembert…) e pomodorini

 

 

Procedimento

Mescolate la farina con l’uovo, aggiungete quindi acqua e sale. Girate con una frusta o una forchetta per amalgamare, quindi lasciate riposare per una mezz’oretta. Ungete una padella con del burro, riscaldate e versate un cucchiaio abboandante di pastella. Aspettate un paio di minuti e voltate dall’altra parte con una spatola. Inserite nel mezzo del formaggio per l’ultimo minuto, passate su un piatto e ripiegate i bordi.

I finanzieri e la mademoiselle

La richiesta è stata immediata. Assaggiato, riassaggiato, preteso lo scambio, e quando ne restava poco meno della metà: "Mamma, lo rifacciamo a casa?". 

Individuiamo i protagonisti dell’amore a prima vista. I finanzieri e la mademoiselle (sì, beh la pupa, qualche settimana in terra francese:-)).

Lo so, la forma dei finanzieri (la nostra, ma anche quella assaggiata oltralpe) non è ortodossa. Pare più un muffin, cresciuto pochino. Però non avendo né gli stampi da financiers (che li fanno assomigliare a piccoli lingotti) nè il tempo, in questi giorni di procurarmeli, e soprattutto avendoli mangiati simili ai nostri, ecco li ho preparati così. E giusto perché oggi è il primo giorno d’autunno (quest’anno non sbaglio:-)) io li ho profumati all’uva fragola.

La passione di Alice è nata a Rouen, alla fine del nostro viaggio fra Normandia e Bretagna un mesetto fa (cavolo, di già, e io non ho ancora scaricato foto, etc…). Passeggiando siamo incappati in una piccola pasticceria/sala da tè che era uno spettacolo. Lui ci ha aspettato fuori (pensate, avevamo finito di fare colazione da meno di mezz’ora:-)).

Bene, io e lei non abbiamo resistito. Entrate la pupa ha scelto un brownie, identificandolo come qualcosa che aveva già assaggiato con molto piacere, io per un financier dalla forma tonda e non rettangolare come prevederebbe la tradizione. 

Bene, era fantastico: aromatizzato al tè verde con mirtilli. Ingenuamente ho fatto assaggiare alla pupa, bene ha preteso lo scambio. E mi sono ritrovata con un brownie al posto di un finanziere.

Lo scorso venerdì li ho infornati a casa, ovviamente conservando la base ma modificando il resto.

E l’innamoramento è stato lo stesso, considerato che all’uscita dell’asilo Alice è stata in grado di mangiarne due e un pezzo (sì, io quasi non ci credevo:-)).

Sarà che questi dolcetti, pare nati nel distretto economico e finanziario di Parigi, sono proprio perfetti per l’ora del tè, sarà il profumo di uva fragola, ma di sicuro entrano fra i lil’loves dell’Aliciotta.

Del perché sia dovuta passare una settimana dal cucinamento al passaggio al Cucchiaino, e del per come presento memorie gastronomiche da viaggio senza mostrare foto on the road, beh ve lo racconto la prossima volta. Giurin giuretta che lo faccio:-).

piesse: intanto buon inizio autunno! io oggi sono totalmente immersa in questa luce tiepida di fine settembre.

 

La ricetta.

Ingredienti

3 albumi

60 g di farina di mandorle

40 g di farina 00

60 g di zucchero a velo

70 g di burro

una ventina di acini di uva fragola

 

Procedimento

Mescolate lo zucchero con le due farine, sbattete gli albumi a forchetta, non dovete montarli troppo, uniteli al resto e mescolate. Ora preparate il burro noisette. 

Fatelo sciogliere sul fuoco dolce, portate a ebollizione, si formerà in superficie una patina biancastra, che caramellizza depositandosi sul fondo. In questo modo otterrete il burro noisette, nocciola che darà ai vostri financiers un aroma particolare. Mi raccomando il burro non deve bruciare o fumare!

Ora passatelo al setaccio, e unitelo al composto lavorandolo fino a quando ben spumoso. Lasciate riposare in frigo per un paio d’ore. Riprendete l’impasto, riempite i vostri stampini (io ho usato dei pirottini di carta che ho appoggiato in uno stampo da muffin), decorate con l’acino di uva fragola e cuocete in forno caldo a 175° per 15 minuti circa. Una volta pronti spolverate con pioggia di zucchero a velo.