Di tortilla, Sandokan e incontri

Una delle cose che amo dell’isola sono quei traghetti che vanno e vengono.

Per lo più non si incotrano. Ma a  volte sì. E quando succede hai da una parte quelli che vanno e dall’altra quelli che arrivano. E quando tu stesso sei andato e venuto un po’ di volte, ma non così tante, immagini cosa sente chi va e cosa chi viene. E’ un incontro, dura giusto qualche attimo ma personalmente mi affascina. Proprio come le mani della pupa tra quelle della nonna ma soprattutto di mia madre. E’ stata una manciata di giorni strana, con la sottoscritta armata di mille propositi di lavorare e la mente oltremodo distratta: troppo mare, troppo vento, troppi progetti da rincorrere senza risposta, Mr B. a lavorare per davvero e una lunga estate che mi pare iniziata per lo più nella forma. Per questo ho apprezzato la tortilla, quella fatta di pochi ingredienti, assemblata velocemente e che mia madre ha decretato bassa, bassa portandomi a casa una confezione da quattro, dico quattro uova. 

Per il resto oltre ai traghetti che si incrociano, ho apprezzato il mare da lontano, le chiacchiere dei pescatori di mattina e l’abbandono di reti e barche nella luce rossastra del tramonto. E poi i palazzi, che a vederli la prima volta ti paiono brutti e poi ci passi e ripassi e apprezzi quell’aria di inizio secolo (lo scorso, naturalmente) con le scritte dei negozi anacronistiche.
E’ stato un po’ come se questi pochi giorni si concentrassero tutti in queste sensazioni, incontri e anni che non ci sono più.
 
Ci si sono messe persino le pagine del Corsaro Nero e Bettina, ritrovati con la pupa fra gli scaffali della biblioteca, a spedirmi indietro e indietro (bè agli anni di mia madre, mica i miei, intendiamoci).
Personalmente ho ritrovato un cult della mia infanzia (televisivo), a dondolarsi in punta d’acqua, più pesce che tigre (ai tempi, avrò avuto cinque o sei anni, adoravo la sigla di Sandokan e ci ho preso gusto a ricantarla con la pupa).
 
Dimenticavo la tortilla. La lista della spesa, come detto, deve essere stata di quelle non proprio precise, tanto che mia madre (poco amante della cucina) se ne è tornata con poche patate, poche uova e una manciata di fagiolini. Il divertente è che quando sul Mac le ho mostrato una foto di tortilla, ha esclamato: “Ma è una torta, alta, alta, tu mi avevi fatto intendere una sorta di frittata”. Va bè, diciamo che l’abc della cucina spagnola non è il suo forte.
In compenso l’aliciotta (che un futuro in cucina ce l’ha:-))) ha diretto, mamma&mamma hanno sbattutto e io ho leggermente cambiato i canoni di una delle mie tapas preferite.
Questa tortilla è una delle cose che ultimamente ho mangiato con più nostalgia…
Tenete conto che io ho cotto al vapore patate e fagiolini per non esagerare con l’effetto fritto della ricetta originale (vedi presenza pupi), successivamente ho giusto rosolato cipollotto e patate a cubetti (non se ne può fare del tutto a meno, no?) e ho lasciato ai fagiolini il compito di sgenare le fette (visto che assomigliava più ad una frittata che ad una tortilla da tagliare a cubotti). 
 
La tortilla è formato 18-24 mesi, se non rosolate e limitate all’essenziale la cipolla potete pure abbassare a 12-18. Ricordate che se volete una tortilla alta, alta dovete caricare di patate e uova.
 
piesse: of course, il servizio (piatti, tovaglietta e bicchierini) è stato gentilmente messo a disposizione dalla nonna dell’aliciotta (mi scuso per aver rotto, causa vento e piatto posato sul cornicione del terrazzo, un pezzo:-))

 

 

Ingredienti (per tre, pensandola alta!)

6 uova

3 patate medie

una manciata di fagiolini boby

cipollotto

olio d’oliva

(timo)

poco sale

 

Procedimento

Io ho cotto al vapore (giusto 7-8 minuti) le patate pelate e tagliate a cubotti e i fagiolini. Quindi ho affettato il cipollotto e l’ho rosolato con le patate in olio d’oliva (circa un paio di cucchiai) in una padella antiaderente. Abbiamo sbattuto le uova con un pizzico di sale e del timo fresco e le ho aggiunte in padella. Ho aggiunto i fagiolini in maniera da segnalare le future fette. Eventualmente potete passare anche la tortilla in forno nel momento in cui aggiungete le uova e cuocerla a 175° per 15 minuti.

 

Frushi anche tu?

Oggi è una di quelle giornate che passerei a divagare, ossia? Bè pensare a tutto e niente, fare tutto e niente, buttare all’aria, in alto, mille progetti e poi passare da una nuvola all’altra. Complice è l’amaca, quella che ho trovato sull’isola ad aspettarmi, strisce bianche, blu e azzurre che la pupa soavemente apostrofa come la “umaca”. Il gioco del dondolio ha occupato una buona mezz’ora e l’aliciotta ormai dorme come fosse in Messico o giù di lì:-). Chissà perché il dondolio mi ha rimandato un po’ all’arrotolamento di un paio di settimane fa, quando in vena i “pasticciamenti” mi sono data al fru,fru, frushi. 

Anche qui una divagazione, molto, molto lontana parente della cucina giapponese, considerando che assomiglia, poco, poco, al sushi e che pure quest’ultimo è poi giusto una virgola del capitolo “come si cucina nel Sol Levante” (a questo proposito leggetevi qualche appunto sparso del Cavoletto:-)). 

L’idea mi è venuta perché faceva molto, molto caldooo (che qualche blogger appassionato di food si è dimenticato di ricordarlo?:-) e volevo fare un dolce ridotto all’essenziale. Ossia frutta, ancora frutta e giusto il tempo di bollire il riso.
E qui apro parentesi: ho letto che ci vogliono mesi per imparare a cucinare in maniera perfetta solo il riso che va nel sushi, personalmente ci credo e ammetto che avrei bisogno di ripetizioni (della serie nodo al fazzoletto e in autunno mi ci iscrivo a un corso serio di cucina giapponese, ma autentica). Oppure di un ricecooking japp (e su questo prego quell’amico di Mr B. che se ne sta a Tokio di portarne uno in dono alla sottoscritta o di invitarci a comprarlo sul posto:-)). 
La faccenda si è complicata perché non ho quei simpatici tappettini “fai sushi facile” e mi sono trovata ad arrotolare munita di tovaglietta di pupi rigida e pellicola. 
I primi erano parecchio brutti a vedersi, poi rotola e arrotola gli ultimi erano quantomeno presentabili per i posteri (e ammetto no ho resistito allo stereotipo del piatto black e della bacchetta). 
Risultato? A voi l’ardua sentenza:-).
 
Che cosa ho amato del frushi? Allora la prima volta che l’ho sentito nominare mi ha giusto colpito il nome (da storpiare e ristorpiare:-)) ma mi è sembrata l’ennesima moda a stelle e strisce da bar sulla spiaggia.
 
In realtà è divertente da mangiare (almeno se ci fate due o tre intingoli in cui affondare il rotolino) e poi una genialata per i pupi. Vi dà l’occasione di cambiare, assemblare riso (cotto dolcemente come fosse un risolatte) e tanta, tantissima frutta. E alla mano del pupo di tuffare  rituffare e sgranellare chicco a chicco. 
piesse: io ho cotto il riso con vaniglia, acqua, un paio di cucchiai di latte (di riso) e giusto un cucchiaino di sambuco. Naturally potete variare, ad esempio con latte di cocco o mandorla.

Ingredienti (per una quindicina di rotolini)

250 gr di riso per sushi
vaniglia (ho usato quella in polvere)
due cucchiai di latte di riso
un goccio di sambuco
mirtilli
lamponi
fragole
strisce di melone e pesca gialla
yogurt naturale
30 gr di zucchero di canna
succo di limone
sciroppo d’acero
 

Procedimento

Sciacquare e cuocere portando a bollore il riso in acqua, zucchero, latte di riso, un cucchiaino scarso di vaniglia in polvere e un goccio di sambuco. Il liquido si dovrà consumare (fate attenzione però a non far attaccare il tutto!). A questo punto fate raffreddare. Nel frattempo preparate una coulisse: schiacciate buona parte dei lamponi e metteteli in un pentolino con un cucchiaino di zucchero e succo di limone. Riscaldate per qualche minuto poi passate la salsina al colino e mettete in una ciotolina. In un’altra ciotola riempite invece con lo yogurt, scorza grattuggiata di limone e un cucchiaino di sciroppo d’acero. Ora il riso. Stendetelo su una tovaglietta da sushi o una improvvisata (come ho fatto io) con della pellicola. Bagnate le mani con acqua fredda (così non si attacca il riso). All’interno dello strato di riso posizionate mirtilli, fettine di fragola o pesca (volendo potete stendere anche parte della salsina di lamponi). Ora arrotolate e tagliate i rotolini. Potete rivestirli all’esterno con melone giallo tagliato sottile, sottile. Lasciate riposare un’oretta in frigo  e poi servite con le salsine. Consiglio: evitate le bacchette per i pupi, meglio la mano libera:-).
 
 
 

 

Avocado e tonno al saraceno

Questi sono giorni in cui la cucina assomiglia molto a quella di un single, chiaramente dotato di qualche cognizione in merito, ma anche rapito da lavoro, impegni più o meno mondani e così via. Sì perché quando la pupa è in vacanza, può capitare di sentirsi giusto un pochino su di giri per tutto quel tempo a disposizione. E allora che fai, cucini come se niente fosse? No, assolutamente no. Prendi appuntamenti, vedi gente, ti spalmi ogni sorta di crema rimasta lì abbandonata e carburi che eri rimasta giusto indietro di pezzi da scrivere, progetti da consegnare e aperitivi da fare.
L’altra sera a cena da amici è stato pure ammirato il mio fucsia splendeur ai piedi: era da un po’ che non mi capitava di cambiar colore con tanta leggerezza:-). E poi c’è l’avocado. Ecco la ricetta.

Non è che oggi non si parli per nulla di cucina per bebè e pupi, visto che parte degli ingredienti del piatto, mescolati e frullati, sono una delle passioni di Alice. Diciamo che è un piatto  freddo (mica siamo usciti dalla serie fa caldo, ma che caldo!) e veloce: arrivata a casetta dopo un ritorno apocalittico da Milano (ma qualcuno ci va in vacanza??) è bastato sbucciare, tagliare a pezzettini e giusto bollire due manciate abbondanti di grano saraceno.

 

Andiamo con ordine. L’avocado. Confesso: è una di quelle poche cose che compro non a chilometro zero e che adoro.  A volte ci vuole pazienza (almeno in Italia, perché a Londra, ad esempio, era sempre maturo al punto giusto): lo acquisti che è duro come un sasso e devi dimenticarti della sua esistenza per una settimana. E poi diventa perfetto. Da tagliare a piccoli pezzetti o ridurre in crema: per la sottoscritta il massimo è avocado, lime, coriandolo, cipollotto, sale e olio poco, poco, tipo guacamole, Alice invece adora la combinazione avocado e tonno frullato, sempre con goccia di olio  limone. Dimenticavo: si diverte ad aggiungere il nocciolo alla sua collezione di palline. Ad ognuno le sue mani:-).

 

 

In alcuni paesi (vi cito di nuovo Gran Bretagna, ma anche in Asia) è utilizzato fin dai primi mesi dello svezzamento, perché è digeribile, si presta ad essere frullato sia con il dolce sia con il salato.  In Italia invece difficile trovare bebè che assaggi avocado:-), per tutta una serie di ragioni (la più razionale mi pare non sottoporre il formato a frutta/verdure che vengono da lontano e non maturano perfetti a stagione nostra).

 

Il resto della ricetta. Tonno. Ingrediente che faccio fatica ormai ad acquistare fresco, pur piacendomi alla follia nella versione appena scottata o a crudo, per la cattura selvaggia che ci è stata negli ultimi anni. Ammetto di comprare ancora la versione scatoletta, ma facendo attenzione a come riempiono questa scatoletta. Greenpeace ci ha fatto una campagna di sensibilizzazione.

 

Infine il grano saraceno. Lo potete utilizzare sotto forma di crema fin dal sesto mese, perché è privo di glutine. Oppure provarlo sotto forma di chicchi (come farro o orzo) per zuppe o insalate fredde. 

piesse: ma voi l’avocado come lo pulite?

 

La ricetta. 

Ingredienti (per due)

100 gr di grano saraceno

1 avocado

1 scatola di tonno

olio EVO

scorza e succo di lime

cipolla rossa di tropea

eventuale coriandolo fresco

sale

 

Procedimento

Tagliate a pezzetti piccoli l’avocado (io semplicemente lo sbuccio, taglio a metà, tolgo il nocciolo interno), fate lo stesso con la cipolla. Schiacciate il tonno e aggiungete al resto. Condite con un cucchiaino di succo di lime e dell’olio EVO.

Sciacquate e poi bollite in acqua salata il grano saraceno, scolate e condite con olio EVO. Mescolate con il resto del condimento, unite anche la scorza di lime grattuggiata e il coriandolo a pezzetti. Prendete un coccapasta, riempite con il composto e impiattate. 

Oggi è l’ultimo giorno ( e devo dire che l’aliciotta mi manca). 

Come nasce una mattonella, di yogurt&menta

Può essere che una serie di circostanze, sommate e assemblate, facciano una mattonella. Prendiamo il mio caso. Mi chiedono un articolo con ricetta a base di cioccolato per l’autunno. E giù col cioccolato: bianco, fondant e au lait. Tutto ben sciolto. Troppo. Ci sarebbe la pupa (che in realtà non c’è), ormai impazzita per la menta. C’è Mr B., passato per caso in cucina. E poi lo yogurt, bianco e naturale che da noi non manca mai. Infine il fattore x: ossia non ti azzardare ad accendere il forno, che sei matta?? Ecco così nasce una mattonella.

La ricetta è di quelle in absentia, ossia fatta tra la montagna e la partenza della pupa per l’isola, che un momento alla sottoscritta manca moltissimoo e quello dopo, tipo giornata lavoro e relax serale aperitivo e film, si sente in euforia da troppa libertà (sono matta, ehe??).

 

Vediamo i fatti, quelli dell’altra settimana. 

Mentre la sottoscritta impazziva dietro alla creazione al cioccolato, Mr B. si è gentilmente prestato ad assecondare le mie idee "qui non si butta nieeente".

L’ho armato di biscotti, tipo integrale al muesli, da pestare e impastare con il cioccolato (avete presente come si fa con biscotti e burro per la base del cheesecake?).

Per la felicità dell’adepta della menta ho mescolato yogurt e concentrato di menta naturale (scovato, 100% home made in Val Sarentino).

 

Lo yogurt ha presa una bella tinta verde sfumato, di quelle lievi, gentile da vedere.

Detto menta, Alice è corsa alla raccolta, veloce verso la mia povera piantina. "Ecco, mamma due foglioline". Chiamale due, qui il concentrato potrei farlo io stessa. Le foglie sono state gentilmente e molto delicatamente cacciate all’interno delle mie bottigliette da collezione nostalgica "succo di frutta" e il tutto poi selvaggiamente agitato.

E il resto della ricetta? Il mix di biscotti ai cereali e cioccolato è stato utilizzato come base negli stampini (schiacciate bene, mi raccomando, sempre come per il già nominato cheesecake), poi è stato disposto lo yogurt aromatizzato alla menta. Il tutto poi si passa in frigorifero o freezer (se volete una versione più iced) per un paio d’ore.  Basta poi sgusciare dagli stampini (io ho utilizzato quelli in silicone), capovolgere, guarnire con foglie di menta fresca e scaglie di cioccolato).

Naturalmente con la presenza del cioccolato questo è un dolce per un formato di 24 mesi suonati (tipo l’aliciotta), potete però eliminarlo nella base e anche sottoporre a formato di 12 mesi e poco più. 

Gli ingredienti (per tre mattonelle)

una decina di biscotti ai cereali 

70 gr di cioccolato fondente sciolto a bagnomaria

200 gr di yogurt bianco naturale

1 cucchiaio abbondante di concentrato di menta

foglie di menta, scaglie di cioccolato

Il posto delle fragoline

Capita di sbagliare sentiero. Cerchi la cascata, armato di cartina (e ultima tecnologia, vedi “il non possiamo perderci” di Mr B.) e ti ritrovi in faccia la tua infanzia (noi) mentre la pupa sviluppa una nuova passione: quella per le fragoline, di bosco, piccole e dal sapore che è profumo.

E’ stato così che è iniziata la nostra prima giornata a 1200 metri, lontani dalla folla, in un posto, Drei Kirchen (Tre Chiese) che pare avesse stregato pure uno che per irrequietezza non è che fosse molto lontano dalla sottoscritta (il caro Sigmund).

 

Ci si arriva abbandonando il proprio mezzo e salendo sopra Barbiano (siamo proprio vicino a Bolzano) dove per l’appunto si trovano tre chiese (ette) una attaccata all’altra. Basta farsi consegnare tre vecchie chiavi pesanti (secondo me devono aver aperto anche qualche porta dalle parti di Biancaneve e Pollicino) e si entra. E poi ti spingi poco più in là: il bianco del bucato a far da cornice ai monti e la culla di legno che dondola da secoli. 

Tutti intorno montagne e distese verdi da ritrovarci la propria testa.

Sì, perché con gli anni ho sviluppato un’autentica ammirazione per questi posti e la loro capacità di riconciliarti con un sacco di cose.
Ad esempio con le temperature più miti o la memoria di quando eri anche tu bambino e ti appassionavi per pezzate, pony e cavallini e bè quelle fragoline. Che, nel caso, mi hanno salvato perché al lamento di pupi dallo zaino ho risposto con la raccolta. E di fragolina in fragolina alla cascata (quella superiore) di Barbiano ci siamo arrivati.


Vi consiglio la salita e poi la discesa così come un rapido giro a Chiusa (anche se personalmente ho preferito Vipiteno vista il giorno dopo) comprensivo di Biergarten ( e birra dei piccoli, alias 100% Apfelsaft, succcooo di mellla).

Dall’isolamento di DreiKirchen ci siamo cimentati in un passo: quello di Pennes che collega Vipiteno con una delle valli più incantate dell’Alto Adige (o almeno a me arrivando ha fatto quest’impressione).

In Val Sarentino si può anche arrivare attraverso una lunga serie di gallerie da Bolzano, ma a parer mio dal Passo Pennes è tutta un’altra cosa. Vai sù, sù, fai tappa in una baita dove bevi latticello fresco e magari “aperitivizzi” con speck e formaggio al taglio (che ti offrono dal tavolo vicino, bè a me e pupi, Mr B. è rimasto senza) e poi riscendi in una mare di rododendri, mucche e masi (ben 541) che paiono usciti da qualche secolo fa.

Boschi dappertutto che, se ti cimenti in una passeggiata (ad esempio risalendo dal laghetto di Valdurna lungo il torrente), senti nell’aria: qui è il regno del pino mugo. E io credo di essere diventata, almeno per qualche tempo la sua sacerdotessa (fino alla prossima passione da volubile ragazza). L’ho annusato, ho devotamente collezionato l’essenza, mi sono letteralmente innamorata di un burro al pino mugo che ho spalmato e spalmato, l’ho assaggiato in versione iced.
Peccato che come sacerdotessa non sono riuscita a strappare i segreti per consumare il rito a casa (della serie se qualcuno sa come preparare del burro al pino mugo, verde e profumato come fosse fatto di aghi, me lo dica!).

 

In Va Sarentino vi assicuro che è impossibile, ma realmente impossibile non trovare pace (pure per me): lo sguardo si apre al verde verso ogni direzione, i prati sono di un verde che io pensavo esistere solo in qualche vecchia favola, e bè qua e là incontri dei personaggi che ti portano indietro e indietro nel tempo ( e se punti la macchina si girano contenti verso il tuo obiettivo…). 

Compresi degli omini di pietra (o “Stoanerne Mandlen”) in cima ad un colle sopra Sarentino dove le streghe si ritrovavano a far baldoria. Se passate di qui fate come noi, salite in cima, la vista è spettacolare, c’è una varietà di mucche da far perdere la testa al pupo e poi fate tappa alla malga a mezza strada per latte fresco, canederli e strudel.

A proposito di cibarie (siamo o no su un foodblog anche se per pupi?) tra le specialità, oltre alle interpretazioni al pino mugo, abbiamo assaggiato brodo e Sprizl (sostanzialmnte pane al grano saraceno fritto) al Messnerhof: ci siamo andati per caso sbirciando I posti che parteciapvano alla rassegna gastronomica Val Sarentino ed è stato una piacevole scoperta (pupi ha ripiegato per la trota di torrente). Ad ognuno poi il suo estratto: sambuco per Mr B., menta pura per la pupetta e lampone per la sottoscritta.

 

Consigli in ordine sparso.

A Barbiano ammirate il panorama dal Bad DreiKirchen: noi ( Mr B. et moi) siamo riusciti nell’impresa di goderci un dopo cena con pupi dormiente alle 21.30 o’ clock. L’evento è stato annegato in un Gewurtztraminer e grappa al cirmolo.

Se come me amate le erbe approfittate di questi posti: sono persino riuscita a trovare del timo limonato secco, direi che la soddisfazione è senza prezzo:-).

 

Zaino ( e pupo in spalla) salite dal lago di Valdurna, la passeggiata tra masi di legno, piccole baite diroccate e torrenti è da incanto. Se vi riesce fate come me e pupi: piedi nudi sull’erba e poi via nell’acqua —-, “che fredddo”.

 

Infine, se siete dei food addicted e avete un pupo curioso, che ha superato almeno i 18 mesi spingetevi per una sera fino al BadSchoergau, prenotate un tavolo nella stube (magari la stessa sera in cui c’è una partita importante, tipo la finale mondiale e quindi tutti sono rimasti a casa) e godetevi una delle cene migliori di questi ultimi mesi. Qui credo che l’aliciotta passerà alla storia per la capacità di accapparrarsi il piatto altrui, mentre la sottoscritta si spalmava l’ennesimo mini panino fatto in casa di burro verde, verde al profumo di bosco…

Per tutto il resto rimando a www.sarntal.com e www.barbiano.org, per gli scettici lascio la parola a Sigmund (che alla fine mi sembra un gran saggio): "Mi avvolgeva un senso di ritemprante solitudine, impreziosita da monti, boschi, fiori, acque, castelli e monasteri, senz’anima viva intorno … la sera, poi, la cena è stata deliziosa".

I love pomodorino

Sì ci siamo ancora. In questi giorni passati on the road di cucinamenti personali nemmeno l’ombra, di scoperte tante ( e il racconto arriverà veloce, veloce, potevate dubitarne?:–). Nel frattempo mi pare sano e giusto presentare il super lilove di pupi, quello che se lo presenti all’aliciotta sai che non sbagli mai. Signori e signori, il pomodorino (sì, ino e non o), magari datterino, comunque grande poco più di una ciliegia, perché per lei uno tira 

l’altro ( e questa mica è una frase fatta, ma la pura verità). 

Fotografiamo la situazione (si fa per dire). Supermercato: pupi et moi, carrello piccolo, carrello grande.
La wish list di Alice: “Pomodorini e yogurt (non c’azzaccano, ma tale è)”.
E la domanda (probabilmente pensa che mamma soffra di un preoccupante stato di demenza precoce): “Abbiamo i pomodorini? Li prendiamo? Ti ricordi”.  E la sottoscritta infila nel carrello piccolo la confezione di pizzutelli, che “magari la pupa ha ragione”. 
 
Rifotografiamo. E’ estate e di tipologie di pomodorini ne esistono da sbizzarrirci: pizzutello, pachino, sardo, datterino e ciliegino (ne conoscete altre??). Bene tutte paiono affollare casa nostra. Risultato? Vanno via proprio come le ciliegie, senza nemmeno la fatica di cucinarli. 
 
Ecco perché: fase due. 
Io prendo la confezione, lavo e appoggio, pupi munita di rialzo, arrivo dappertutto, parte al saccheggio mentre la sottoscritta faceva quella telefonata o coglieva giusto due foglie di basilico.
Oppure se faccio il piantone parte l’assalto verbale”Me ne dai uno, uno, uno solo”. Peccato che la richiesta, bocca piena, si ripeta con la frequenza di un nano secondo e tu (ossia io) stremata ceda uno, due, tre, quattro… (  e vedi che ‘sto gioco  insegna alla pupa a contare fino a dieci e più prima dei tre anni, se non si trasforma in alice-pomodorino:-)).
La prova dell’amore. Il pomodorino confit.
Credo che questo si possa considerare il punto più alto della passione per la pupa, subito dopo la degustazione selvaggia.
 
Ecco la mia versione (che col pomodorino confit ognuno ha la sua interpretazione). Lavate i pomodorini (ed evitate possibili furti), poneteli su carta da forno, bagnateli con un filo di olio d’oliva e sbizzarritevi con le erbe: basilico, timo limonato, origano fresco, menta e scorza di limone. Eventualmente aggiungete poco, poco sale.
Passate in forno a 170° fino a quando si ammorbidiscono. Alice, da purista estrema, vota per l’eliminazione della pellicina esterna (ma solo in questo caso che, ad esempio, nel sugo pupi non scarta nulla, anzi ci si tuffa a cercare).
Potete utilizzare i pomodorini anche per condire la pasta. 
Formato del tomato? 12 mesi suonati. 
piesse: in fotografia da ammirare parte del servizio "oggi cucino io di Alice", la sua ricetta? Pasta, pomodorini, basilico e tanto, anzi tantissimo formaggio. 
Della serie, qualcuno nutriva dubbi al riguardo?