Petit pot d’arancia

Una giornata particolare, quella di ieri. Mi è sembrato di essere per buona parte del lunedì in osservazione, la finestra a dividere e la primavera a cercar di fare irruzione. Eppure è andata veloce: la febbre della pupa (arrivata dopo il weekend trascorso a far scivolate sulla neve, mannaggia!), la riorganizzazione della giornata, il dolore di una cara amica e la difficoltà a mettere in fila le parole, quelle da dire e quelle da scrivere.

E’ decisamente vero: ci sono cose, poche, che hanno la capacità in un attimo di fermarti, trasformarti o semplicemente mostrarti prospettive che erano lì e la sottoscritta, di per sé sempre troppo insoddisfatta, fatica ad afferrare. Un po’ come capita con i pupi: pensi di aver visto e sperimentato e conosciuto, e invece ai “perché” e “poi” resti lì a chiederti come cavolo sia possibile che tu quella cosa l’avessi sempre vista a quel modo.

E’ stato naturale darsi al colore in versione comfort “sweet”. Più per la mamma che per la pupa ( perfetta filosofia “cucchiaino”, cucina per pupo e sdoppiati per mamma&papà). E a proposito di prospettive avete mai visto un’arancia trasformarsi in un petit pot, una di quelle ciottoline mignon e così jolie che solo a vederle mi sento già confortata:-) (ne sa qualcosa la credenza di casa)?

L’idea è nata veloce mentre all’ora della merenda tentavo di coinvolgere la pupa ammalata nel rito della spremuta scaccia malanno. Invece di tagliare perfettamente a metà, l’arancia va gentilmente decapitata, si svuota e la si lascia in tutto il suo splendore arancione a riposo.

A questo punto la parte “sweet comfort”: ho mescolato 250 ml di panna fresca

con succo di arancia filtrato (circa 50-60 ml a seconda che vogliate un sapore più o meno agrumato), giusto un paio di cucchiaini di maizena per addensare e se proprio non potete farne a meno un cucchiaio di zucchero. Ho riscaldato dolcemente la crema fino a renderla più densa. 

E poiii (direbbe pupi)? Riempito i petit pots arancioni e infornato per qualche minuto a 170°. Posizionate nel piatto, spolverate con polvere di vaniglia e gustate al cucchiaino (pure l’aliciotta malata pare aver gradito)

Scones per il tè dei matti

Sotto un albero di rimpetto alla casa c’era una tavola apparecchiata. Vi prendevano il tè la Lepre di Marzo e il Cappellaio. Un Ghiro profondamente addormentato stava fra di loro, ed essi se ne servivano come se fosse stato un guanciale…

La tavola era vasta, ma i tre stavano stretti tutti in un angolo: — Non c’è posto! Non c’è posto! — gridarono, vedendo Alice avvicinarsi. — C’è tanto posto! — disse Alice sdegnata, e si sdraiò in una gran poltrona".

Se penso ad un tè inglese chissà perché vado dritta al tè dei matti. Sarà che Biancoconiglio, il Cappellaio Matto, la Lepre di Marzo e il Ghiro guanciale non sono compagnia da tutte le tavole. Sarà che sono un po’ matta pure io e il tè senza regole, con tanto di personaggi ai quali manca qualche venerdì, bè proprio mi piace. Sarà che ho un’Alice tutta mia, pure lei matta giusto quel pochino per farmi sorridere. 

Ed invece non c’è nulla di più rigoroso e rituale della preparazione del tè, soprattutto se si considera che è diffusa in maniera diversa in culture lontane fra loro. Cina, Giappone, India, Corea, Olanda, Svezia e of course Gran Bretagna. 

Certo il tea time delle 5 o’ clock non ha la grazia del Cha No Yu giapponese e oserei dire nemmeno la leggerezza. Però è una sicurezza che ti mette tranquillità come tutto ciò che ha la capacità di non cambiare mai,  ma proprio mai.

 

Qui a Londra non ho avuto il piacere di partecipare ad un tè da "Alice Woderland" che sarebbe stato proprio divertente. Ho trovato in Covent Garden una valida alternativa ai soliti indirizzi (per intenderci Whittard o Twinings o Fortnum&Mason) per acquistare tè: il posto si chiama Tea Palace e vale la visita.

 


Poi lunedì, giornata piovosa e grigia ( e ve lo devo dire?), alle 4.15 p.m., approfittando di un ritorno di Mr B. inaspettato, abbiamo avuto la grazia di gustare il nostro primo tea time british. 

Ok, ho cercato per un paio di giorni una tearoom di una simpatica signora dello SryLanka: volevo qualcosa di alternativo al tea time modello Ritz o quasi. Invano, ha chiuso qualche mese fa. Abbiamo ripiegato sull’Orangerie, just around the corner, proprio accanto a Kensington Palace. Se non avesse piovuto, se non fosse stato così grigio, e se qui il sole non calasse dopo le 4, bè avrebbe potuto essere carino: dalle alte finestre bianche si ha la vista diretta su tutti i gardens.

Abbiamo avuto il nostro tè: sandwiches, very small, assaggi di cakes, niente di che, e scones, con jam e clotted cream. Sì perchè il tè inglese, di solito nero, va servito con questa sorta di panini dolci da riempire con marmellata (spesso di fragole) e clotted cream (una crema a base di mascarpone, panna e qualche goccia di limone), deliziosa.

 

Poi c’è stato il dopo. Ossia i miei scones home made. Rispetto a quelli assaggiati fuori sono risultati meno panosi e più biscottosi (ma comunque molto morbidi), secondo alcuni, di parte, migliori:-). 

La sottoscritta non ha resistito e fra uno scatto e l’altro ne ha subito, subito mangiato uno con marmellata di rabarbaro (quella alle fragole non l’ho mai, ma proprio mai amata) e clotted cream (a questa proprio non resisto). Consiglio di fare lo stesso perché caldi sono tanto più "goduriosi":-).

 

Li ho trovati niente male anche come idea da importare in versione baby sia come merenda alla moda british sia come panino del mattino. Il formato è dai 12 mesi in poi, naturalmente, potete fare a meno dell’uvetta se il pupo non gradisce.

Chiaramente (qualcuno aveva dubbi?) ho apportato la mia piccola modifica e invece di usare tanto burro ho sostituito il latte con del buttermilch, semplice, semplice da reperire qui.

piesse: prometto prossima puntata su tè e infusi per bebè, datemi tempo di ritornare a casetta:-) 

 

Ingredienti

300 gr di farina

150 ml di buttermilch (potete usare latte e yogurt al posto del latticello)

50 gr di burro

1 uovo per spennellare

20 gr di zucchero
uvetta (se volete)

1 cucchiaino di baking powder o 1/2 bustina di lievito 

 

Procedimento

Facile e veloce. Mischiate farina e zucchero, aggiungete il burro e lavorate a manina. Versate il buttermilch ( regolatevi un po’ sull’impasto che non deve essere troppo bagnato). Aggiungete l’uvetta, finite col lievito. Stendete l’impasto (in mancanza di mattarello fate come me, l’ho spiattellato a mano), tagliate con formina o al coltello  (indovinate che ho fatto io?). Posizionate su carta da forno e passate al calduccio a 180° per 15 minuti. Se possibile mangiate subito, subitissimo.

Biscotti di riso soffiato: Alice’s baking

Non ho grande passione per l’inizio settimana. Però siamo a Londra e dopotutto devo sfruttare i due forni di cui è dotata questa cucina, senza pentole e tegami. E poi c’è Alice rimasta imbrigliata nel sistema prescolastico inglese che prevede a febbraio una settimana di half term. Niente di più facile per consumare il tempo di impasti e biscottamenti. 

La pupa ci si tuffa felice e contenta, aggiunge, aggiusta, assaggia e riassaggia.
Pretende ad ogni attimo di dosare il baking powder e riassaggia. La sottoscritta tenta, invano, di regolare e consigliare, di parare i colpi sull’obiettivo nuovo, nuovo e di salvare un minimo impasto (personalmente preferisco la versione dopocottura). Fortuna che la ricetta è di quelle semplici, a prova di pupo. Nel senso che quando hai in mano pochi ingredienti, niente da sbattere o frullare, puoi pensare di ottenere un risultato mangiabile anche con la pupa che pare essere uscita da uno di quei programmi di cucina di Gordon Ramsay (della serie fast and furious).

A Londra poi cucinare con i bebè sembra essere “so fashion”. Non c’è scuola, corso, club e pure supermercato (da Wholefoods c’è la kidsection il lunedì) che non abbia il suo angolo di “kidscooking”. E non c’è libreria dove non ci sia una bella sezione con le ultime novità “su cosa, come e quando cucinare con il bebè”. Come dire altro che cucchiaino.
L’idea è di sviluppare regimi alimentari sani creando consapevolezza fin da piccoli su ciò che si cucina e si mangia. Devo confessare che mi ha stupito quanto tutto questo sia diffuso proprio nel paese dell’English breakfast e gravy a gogo. O forse è proprio questa la ragione, voi che dite?
Pensate che un paio di anni fa il governo ha promosso una campagna di insegnamento obbligatorio nelle scuole di cucina, giusto insieme a matematica e abc francese.
Un vero e proprio piano di combattimento contro la diffusione sempre maggiore di obesità infantile che ha avuto nel Jamie nazionale il suo Ministry of Food. Nel senso che quest’ultimo si è lanciato nella rivoluzione dei costumi gastronomici, al grido rivoluzionario “Tutti possono imparare a cucinare” (non vi ricorda un po’ un certo topo in quel di Parigi?).

Certo, e che velo dico proprio io, questa pratica mi piace mucho. Tanto che uno dei prossimi lunedì pure l’aliociotta parteciperà alla sessione di cooking al nido ( e ci andrà pure io che voglio vedere!), caso mai le lezioni di mamma non fossero sufficienti:-).

Nel frattempo vi suggerisco questi link, uno dei quali è il sito di Annabel Karamel (grazie Smamma!), una vera istituzione in Gran Bretagna. date un’occhiata al sito e ditemi se sembra una bibbia di cucina per bambini (of course in Bristish style). 
www.annabelkarmel.com

www.thekidscookeryschool.co.uk/
www.letsgetcooking.org.uk/Home
www.guardian.co.uk/education/2008/jan/22/schools.uk1

 

Per tornar alla ricetta siamo ancora in territorio britannico e dintorni. Si tratta di biscotti di riso soffiato, divertenti da preparare ( dalla faccia dell’aliciotta) e da mangiare (parola di Mr B. che ha sgranocchiato dopo il ritorno dalle nebbie inglesi). Tre biscotti (dico tre) hanno subito la variante alice, ossia la sottoscritta per sedare la furia, ops per agevolare lo chef da furba souschef ha suggerito di creare biscotto sorpresa per papà. E così lo chef ha introdotto poco gentilmente, spiaccicando con le manine, il chicco di caffè cioccolatoso.

Tenete conto che il biscotto di riso soffiato è da sottoporre a formato dopo i 12 mesi.

Ingredienti

150 gr di farina
1 tazza di riso soffiato
1 uovo
50 gr di burro
50 gr di zucchero grezzo (o bianco)

scorza di limone bio
2 cucchiai di latte
1 cucchiaino di baking powder

 

Procedimento

Non ho seguito il procedimento tradizionale che prevede di preparare l’impasto e passarlo poi nel riso soffiato (indovinate perché?). Vi dico come li abbiamo fatti. Mischiato burro e zucchero fino ad ottenere una crema morbida. Aggiunto l’uovo e la scorza di limone. E subito veloce la farina per fermare il continuo assaggio. Risultava non troppo morbido e ho unito due cucchiai di latte (che potete evitare e aumentare di 20 gr il burro). A pioggia il riso soffiato. E girato, girato. Il lievito: in tante ricette non è presente ma desideravo si alzassero un pochino e quindi ci ho messo un cucchiaino di baking powder (se volete fare lo stesso usate un pizzico di lievito per dolci italiano).

Crumble al rabarbaro: it’s 5.00 p.m.

E’ una delle prime cose che ho acquistato a Londra, insieme al lemongrass, la lavagnetta magica di Hamleys e il National Cookbook. Di sicuro è quello che mi ha dato grande soddisfazione. Della serie “lo voglio, lo trovo ed ha pure un prezzo ben al di sotto del mercato italico”. Cinque, dico cinque gambi (si dice così?) di rabarbari, color porporaviolaceo acceso, da utilizzare come frutta ma della famiglia "verdure".
E ho deciso che niente era più “british” di un crumble, soprattutto all’ora del tè.
Semplice, veloce e fatto di poche briciole: giusto fiocchi di avena e farina integrale (ne ho una quantità industriale, avanzata dalla pakkolla), scorza di arancia, poco, poco zucchero scuro e un tocco di burro. E il rabarbaro in tutto il suo splendore, cotto qualche minuto con due cucchiai di zucchero, mezzo bicchiere di latte e un cucchiaino (ce l’avevo e non ho resistito) di latte di cocco. 

Con gli scones e il pudding (ne parleremo) il crumble (di solito di mele) è uno dei pezzi forti per il tè delle cinque.
Il teatime per la sottoscritta rimane però ancora un miraggio (e difatti il mio crumble è stato il dolce della cena) che in settimana a quell’ora lavoro mentre la pupa saltella al nido e nel finesettimana è l’orario migliore per girare per musei e gallerie (bè per noi, visto che l’aliociotta è fuoriuso sul passeggino). Indi, mentre gli inglesi e sua maestà sorseggiano dell’ottimo Early Grey, Mr B. ed io siamo impegnati con mummie, fregi del Partenone di ellenica provenienza (‘sti inglesi sono pazzeschi!) e la decapitazione di Lady Jane Grey: lo so, quest’ultimo, a voi non dice nulla, ma a me è rimasto il ricordo di questo quadro da ragazzina al National, sì, sì più dei girasoli di Van Gogh, avevo una fervida fantasia allora.

Sarà ma Londra non ti mette per niente la voglia di fermarti, se poi considerate l’irrequietezza innata della sottoscritta le cose possono solo correre ancor di più.

Ecco quello che è stato il programma del nostro weekend, caso mai qualcuno fosse curioso e volesse trarre spunto per visite future:-).

11.00 a.m.: Cinderella al Lyric. Londra è la città dei musical, dei concerti e delle rappresentazioni shakespiriane. Bene, non solo. C’è una nutrita programmazione anche per i pupi, ma proprio pupi (diciamo dal formato aliciotta in poi).

13.00 p.m.: Portobello market. Mai visto tanta gente e tante chincaglierie insieme. Spostatevi verso Nottting Hill, dove il mercato si fa soprattutto gastronomico e afte tappa a Books for cooks (prometto di riparlarne che qui si fa lunga).

15.00 p.m.: lunga, lunga camminata e ecco che ci siamo spostati verso Chiantown, Soho, giro l’angolo, cammino, cammino.

16.00 p.m.: requiem pupi, il British. Stupefacente. Però i fregi del Partenone potrebbero ritornare a casa, casetta, no?

18.00 p.m.: chiamalo teatime, bè comunque crumble di mele nella cripta. Porzione devastante, la custurd cream contribuisce notevolmente a peggiorare le cose. Requiem della sottoscritta, resurrezione della pupa.
 

Dimenticavo la ricetta. Praticamente ve l’ho già cantata. Riepilogo, che qui si parla di cucina. Formato? Due anni soprattutto per via del rabarbaro (aspetto però conferma dalla pediatra del cucchiaino). Nel senso che se sostituite con le mele potete agevolmente impiattare per un dodici-diciotto.

Tagliate il rabarbaro a pezzetti (circa 5-6 gambi). Mettete in pentola con un cucchiaino di zucchero e latte (circa mezzo bicchiere). Girate fino a quando si ammorbidisce senza però sfaldarsi (basteranno cinque, otto minuti). Preparate le vostre briciole. Mischiate burro (circa 70 gr), fiocchi di avena e farina (circa 150 gr) e zucchero (50 gr). Se volete potete aggiungere scorza di arancia (io ci ho messo delle scorze caramellate) e granella di mandorle (io non l’avevo e ho lasciato perdere). Dovrete ricavare un impasto a briciole (usate, usate le dita). Mettete il rabarbaro nella pirofila e coprite con il crumble. Infornate per 20 minuti a 180° e servite caldo.

 

La pinza formato Befana


Ho iniziato stamattina di buon’ora, Alice issata sullo sgabello, tazzona di latte e spruzzo libero. L’impasto era fantastico: se quel "furbone" di Babbo Natale aveva avuto biscotto e tisana, bè la vecchia, alcuni dicono con le calze tutterotte, avrebbe avuto la pinza da bagnare in latte e vaniglia.
Ero tutta felice e contenta, quando in preda al dubbio consulto veloce il mac sul break della cucina (sì a casa nostra siamo tipi strani…). Brivido: ma come la polenta andava cotta? Perchè quel maledetto sito dell’altra sera, in veneziano, non me l’aveva detto.
Con internet devo smetterla, me l’ero già ripromesso con il regalo di Mr B.: a prosposito oggi le renne di Babbo Natale si sono degnate di suonare alla nostra porta e consegnare il fantastico libro di Pino Ninfa (prometto: l’anno prossimo andrò sulle mie gambe in libreria!).
Corro al telefono, mentre Alice continua la gara di spruzzi. Mia suocera, la salvezza. La pinza è ricetta di famiglia per Mr B., arriva benedetta ogni Epifania (un po’ come il panettone per il resto d’Italia). E nonna Cri stava giusto impastando i soliti quattro o cinque chili casalinghi.
Ho la conferma: la polenta, maledizione, va cotta, mica si tratta di fare i biscotti con la farina di mais (in ‘ste vacanze ne ho fatti a più riprese e vi dirò:-)). Ho cominciato a caricare di latte nel timore che questa polenta assorbisse tanto liquido e lasciasse la mia pinza secca, secca.


"Voglio vedere l’impasto, voglio girare": la pupa incalza, mentre io, sciagurata, penso alla mia eresia. Bene la mia sarà una pinza torta monodose (ho giusto quattro stampini da tartellette da inaugurare).
Il risultato? Al primo morso la farina da polenta mi ha dato un po’ fastidio, inutile negarlo, si sentiva. Poi è passato e nel raffreddamento è andata sempre meglio. Tanto che nel pomeriggio Mr B., reduce da giorno superlavorativo di ritorno, ha affermato che era la migliore pinza (torta) mai mangiata (cosa fa l’amour).
Chissà che ne penserà la vecchietta e come verrà ribattezzata dall’aliciotta quando la pupa vedrà volatilizzata la tortina a lei lasciata:-)

piesse: la mia pinza torta ha latte e uova che nella ricetta originaria si possono agevolmente aggirare (basta dice mia suocera lasciare la polenta bella liquida). Eventualmente caricate di poco zucchero (avete uvetta e mela ad addolcire) e potete sottoporre a formato sotto l’anno.
Se invece optate per la versione eretica, alzate il formato almeno ai 12 mesi.


Ingredienti (4 tortine)

350 gr di farina da polenta
100 gr di farina bianca
1 uovo (questo potete eliminare per l’altra pinza)
semi di finocchio
semi di anice
80 gr di uvetta (bella abbondante)
1 manciata di pinoli
scorza di limone e arancia
1 mela grattuggiata (per un risultato più morbido e addolcire se optate per poco, poco zucchero)
30 gr di burro
50 gr di zucchero di canna
150 ml di latte (ma forse nella disperazione ne ho messo di più!)
1 bustina di lievito

Ho mischiato  le due farine con lo zucchero, unito finocchio, anice e scorze. Ho ammollato l’uvetta in acqua tiepida. Nell’impasto ho unito l’uovo e il burro. A quel punto è scattata la telefonata. E ho cominciato a versare…latte. L’impasto ha inizato ad ammorbidirsi, ho aggiunto la mela grattuggiata e i pinoli. Alice ha voluto chiudere con il lievito.
Ho infornato a 175° per 25 minuti. 
 
Nel caso in cui invece utilizzate polenta vera e propria, cotta con tutti i suoi santi modi, unitela alla farina bianca, a semi e frutta secca, mela, lievito senza burro, uova e latte (giusto magari potete bagnare con un goccio di succo di mela) che dopotutto è una pinza mica una torta!

 

 

Spuma di pera&ricotta

 

Non ho ancora deciso se la mia preferita è la William o la Decana del Comizio, anche perché devono essere appena arrivate le Conference e bè, dovrei riassaggiarle per decidermi. Un paio di mesi, nel Renon, rimasi strabiliata dalle varietà di mele esistenti, per non parlare dei succhi alla mela. Anche le pere non scherzano. 

Per mia nonna (la nonna bis dell’aliciotta) mele e pere sono i frutti più noiosi esistenti sulla terra. C’è da dire che lei è obbligata alla scelta: quando vorrebbe cachi e uva, con mestizia deve chiedere mela o pera. 

Ed io che fino a qualche anno fa condividevo in fondo, in fondo l’opinione, mi sono appassionata ultimamente di due frutti proprio "autunno-inverno". 

Trovo poi che le pere siano eccezionali declinate in versione salata, sì proprio salata (su non storcete il naso:-)). Mi hanno salvato in un paio di occasioni, di quelle dove arrivi a cena tardi, supertardi, della serie "e ora che faccio con l’uomo e la pupa delle caverne"? e voilà ecco le pere che infagottate con roquefort (per noi) e latteria (per pupi), arrotolate in sfoglia e chiuse da noce passano in forno che è un piacere.

 

Con la mela, la pera è il frutto dello svezzamento: dai sei mesi in poi (per qualcuno già dai cinque) è tutto un grattuggiare, omogenizzare e passare per i primi sputacchi del pupo.  E la spuma di oggi è proprio di quelle da fase primo svezzamento o subito dopo: ci sono ricotta e yogurt a completare la merenda, giusto in tempo per il settimo mese. Da ricordare che la pera è ricca di zuccheri semplici (fruttosio, ecco perché pure la nonna bis può mangiarne) e di un sacco di potassio, vitamina C e fibre (con una pera facciamo il pieno per un’intera giornata). Per i bimbi: se volete combattere la stipsi preferite la versione cotta.

In perfetto stile cucchiaino, la pappa (merenda o dolce, fate voi) si è sdoppiata e con una paio di aggiustamenti, veloci, veloci, si è trasformata per mamma&papà. Il fingerfood poi insegna: basta completare con coppetta, bicchierino o bicchiere è sembrerà tutto più fascinoso e chiccoso:-).

Ingredienti

40 gr di ricotta vaccina

300 gr di yogurt intero
1 pera matura (io ho usato la Kaiser)

Pelare la pera e tagliarla a pezzi. Frullare tutti e tre gli ingredienti e servire subito.

 

Spuma di ricotta alla cannella con pera al rum

150 gr di ricotta vaccina

2 cucchiai di zucchero a velo
1 cucchiaio di Rum
1 cucchiaino scarso di cannella
una manciata di uvetta

1 pera
amaretti

Lasciate qualche minuto l’uvetta a bagno con rum e acqua tiepida. Lavorate la ricotta con lo zucchero a velo, la cannella in polvere, aggiungete l’uvetta strizzata. Frullate la pera con un goccio di rum. In una coppa sbriciolate gli amaretti sul fondo, fate un secondo strato con la spuma di ricotta, coprite con la composta di pera al rum. Servite